Manzoni, oggi

Dall'Innominato a Emma Bonino, breve storia di giudizi e pregiudizi della chiesa cattolica Detestato dagli anticlericali duri e puri, poco amato dalla stessa chiesa, Manzoni è autore di un gran libro cattolico. Lo conosciamo poco e male, ma qualche episodio dei "Promessi Sposi" è nella memoria collettiva: per esempio, l'incontro tra l'Innominato e il cardinal Borromeo. Eccone la sintesi. L'Innominato, per fare un favore a Don Rodrigo, fa rapire e trascinare a forza Lucia nel proprio castello. È il boss della zona, efferato e temuto: il rapimento della fanciulla è la meno roboante delle sue imprese. Ma dopo un colloquio con l'affranta Lucia l'Innominato è colto da una strana inquietudine e sprofonda in una notte di incubi suicidi. All'alba, sente salire dalla valle un gran scampanio. Si informa, gli dicono che è arrivato il cardinal Federico Borromeo e il paese è in festa. L'Innominato scende a valle, spinto da una tesa ansia. Arriva alla residenza del cardinale. E qui la scena manzoniana si colora di grandiosità barocca. I due, esponenti di un potere - sia il profano che quello sacro - senza limiti, si fronteggiano, sembra che tra loro debba partire una bordata di fuoco come nelle battaglie dei grandi galeoni d'epoca. Invece, rompendo gli indugi, il cardinale si rivolge soavemente all'interlocutore: "Oh, che preziosa visita è questa! (...) Quantunque per me abbia un po' del rimprovero". L'Innominato si meraviglia, ma il cardinale prosegue: "Certo, m'è rimprovero ch'io mi sia lasciato prevenire da voi; quando, da tanto tempo, tante volte, avrei dovuto venir da voi io". Fin troppo facile, rispolverare l'episodio mentre si legge di quanto è accaduto ai funerali di Mariangela Melato, quando il parroco che officiava la cerimonia funebre ha respinto Emma Bonino vietandole di pronunciare in chiesa un commosso saluto all'attrice, che lo aveva espressamente chiesto in punto di morte. Voi però scrollerete la testa, osservando che l'Innominato era andato dal cardinale perché pentito delle sue malefatte, mentre la Bonino è la irriducibile combattente dei diritti civili, di stampo laico. Rispondo a mia volta: che ne sapeva il cardinale delle intenzioni dell'Innominato? Poteva sperare confusamente (e sperò) qualcosa ma, come gli fanno premurosamente osservare quelli del seguito, il rischio era tutto suo, e grande. Lui però accoglie senza indugi il pericoloso personaggio. E va oltre: quando il povero don Abbondio gli esprimerà tutte le sue angosce per i pericoli passati a causa di Lucia e di Renzo, lo ammonisce: "E non sapete voi che il soffrire per la giustizia è il nostro vincere? (...) Chi pretende da voi che vinciate la forza con la forza?". Purtroppo, oggi non assistiamo solo all'episodio del parroco romano: virulenta, esplode la polemica chiesastica contro i tribunali italiani che con una sentenza consentono a due donne lesbiche conviventi di farsi e di tenere un figlio, e con una successiva stabiliscono di affidare alla madre il figlio di una coppia che vuole dividersi. Si tuona: quella è andata a convivere con un'altra donna - è lesbica! - come potrà dare sicurezza a suo figlio (suo figlio...)?
La possibilità, concessa alle coppie orno, di adottare o di ottenere figli utilizzando anche loro la pratica eterologa ormai comune e diffusa - viene invocata come un "diritto": non credo, però, che l'opporvisi derivi da un "pregiudizio". Mi pare che questa definizione non debba mai essere usata, la usiamo quasi sempre contro ciò che è lontano da noi e che noi giudichiamo con occhio estraneo, spesso elitistico: il pregiudizio popolare, bollato dal borghese più o meno voltairiano... Penso che ciascuno abbia diritto al proprio "giudizio", e possa manifestarlo nei modi che crede. Poi cercheremo di far prevalere il nostro, che riteniamo più valido, corretto, adeguato, ma questo fa parte della dialettica storica. Quando Murat proibì che le monache chiuse in un monastero di Ischia si prosternassero in preghiera dinanzi alle carni putrefatte e sgocciolanti delle sorelle morte aveva ragione, quella pratica non era più accettabile. Ma le suore non erano colpevoli o stupide, erano le vittime di qualcosa più grande di loro, di una storia cristallizzata, divenuta inadeguata a se stessa.
Il buon samaritano
Che per essere compassionevoli e pietosi, inclusivi e aperti, sia necessario un po' di relativismo, di quel relativismo eredità, sicuramente, di un grande cristianesimo? Ricordate la parabola del buon Samaritano? "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede al locandiere, dicendo: 'Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno"'. Per gli ebrei, i samaritani erano i diversi, gli "impuri". Va bene, non erano sodomiti.
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