Malato di Sla da quindici anni si lascia morire

Treviso, Paolo Ravasin nel testamento sul web aveva detto no a forme di accanimento terapeutico. Quando le condizioni si sono aggravate ha rifiutato l’alimentazione forzata. Il fratello: «Solo idratato»
Malato di Sla, sei anni fa aveva iniziato con un videotestamento-choc una battaglia per il diritto alla "dolce morte". Nell’ultimo mese le sue condizioni si erano notevolmente aggravate e i familiari hanno rispettato le sue volontà: niente accanimento terapeutico, niente nutrizione artificiale, soltanto idratazione. Ieri Paolo Ravasin, 53 anni, di Cessalto (Treviso), si è spento nella casa di soggiorno di Monastier dove era ricoverato costretto a letto da nove anni. «Ha potuto scegliere fino a quando vivere e come andarsene», le parole del fratello.
Nel 2008 il video choc di Ravasin contro l’alimentazione artificiale. Si era aggravato un mese fa
La scelta di Paolo: senza nutrizione muore di Sla
I familiari: rispettato il suo testamento biologico
«Abbiamo rispettato le sue volontà: ha potuto scegliere fino a quando voleva vivere e come andarsene». Sono queste le parole con le quali la famiglia ha annunciato ieri la morte di Paolo Ravasin, il 53enne di Cessalto colpito 15 anni fa dalla sclerosi laterale amiotrofica (Sla) e diventato nel tempo un simbolo nazionale della battaglia per il diritto alla dolce morte. «Abbiamo tenuto fede al suo testamento biologico - rivela Alberto, il fratello nominato nel 2012 amministratore di sostegno - all'inizio dell'anno i medici ci hanno chiesto se acconsentivamo alla nutrizione artificiale e noi, sia lui che io, abbiamo detto di no».
Dopotutto il video registrato da Paolo nel 2008, sollevando infinite polemiche, non lasciava spazio a dubbi: «Nel momento in cui non fossi più in grado di mangiare o bere attraverso la mia bocca - aveva messo in chiaro in un filmato che si trova anche su You Tube - oppongo il mio rifiuto a ogni forma di alimentazione artificiale». Un appello ascoltato anche dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. E così è stato.
Il presidente onorario della cellula Coscioni di Treviso ha continuato a nutrirsi naturalmente sino a quando ne è stato capace. L'unico intervento artificiale accettato, negli ultimi tempi, è stata una forma di idratazione per evitare l'indebolimento del corpo. La situazione è precipitata all'inizio di gennaio. Ed è andata via via peggiorando. Due settimane fa i medici che lo seguivano nella casa soggiorno villa Magnolie di Monastier, dove era ricoverato, fermo a letto da nove anni, hanno evidenziato la necessità di effettuare delle trasfusioni di sangue. Anche queste, però, sono state rifiutate. «Sia da me - specifica il fratello - che da Paolo, ancora cosciente».
Dieci giorni fa, poi, è stata decisa la somministrazione di una massiccia dose di farmaci per sedarlo. Fino a ieri mattina. «È stata una morte naturale», specificano dalla famiglia. A quanto pare, quindi, non si è arrivati al punto più critico. Paolo non ha perso conoscenza per così tanto tempo da spingere il fratello a far rispettare le sue volontà sul fine vita. Cosa che avrebbe potuto fare in qualità di amministratore di sostegno, fino anche all'estrema decisione di staccare la spina. Un peso che, per fortuna, Alberto non ha dovuto prendersi. E ora tutti si stringono attorno a lui e agli altri tre fratelli. Così come alla moglie Licia e ai figli Manuel e Isabel. Da Mina Welby a Beppino Englaro. Da Filomena Gallo a Marco Cappato, dell'associazione Luca Coscioni.
L'ultimo saluto al 53enne che non ha mai smesso di lottare per i diritti di tutte le persone colpite dalla Sla verrà dato domani nella chiesa di Cessalto.
Paolo Ravasin era presidente onorario della cellula Luca Coscioni di Treviso, l’associazione che prende il nome da Luca Coscioni, il docente e ricercatore universitario di Economia Ambientale di Orvieto che morì nel 2006 all’età di 39 anni, dopo essere stato colpito dalla Sla. Era diventato, con i Radicali, il simbolo della battaglia per la libertà della ricerca scientifica e per l'autodeterminazione di fine vita. Nel 2006 si fece staccare la spina Piergiorgio Welby, malato di distrofia muscolare, diventato un caso per la sua volontà di ottenere il diritto all’eutanasia, visto che il male che lo aveva ridotto su un letto non gli lasciava scampo.
Il fratello Alberto è una delle persone che più è stata vicina a Paolo Ravasin. Sia nella malattia che nella battaglia per veder riconosciuta la validità del testamento biologico. Nominato nel 2012 amministratore di sostegno, in caso di necessità avrebbe potuto anche arrivare a staccare la spina dei macchinari che tenevano in vita il fratello.
Alberto, come sono andate le cose?
«Abbiamo tenuto fede al suo testamento biologico. All'inizio dell'anno dell'anno i medici ci hanno chiesto se acconsentivamo alla nutrizione artificiale e noi, sia lui che io, abbiamo detto di no».
Stesso discorso per le trasfusioni proposte due settimane fa?
«Stesso discorso».
Ha deciso lei o Paolo?
«Paolo è rimasto cosciente sino agli ultimi giorni. Abbiamo deciso assieme. E alla fine è stata una morte naturale».
Non ha mai sentito il peso di poter eventualmente decidere per lui?
«Sotto questo aspetto va sottolineata l'importanza che hanno avuto l'aver predisposto un testamento biologico e l'avermi nominato amministratore di sostegno».
Perché?
«Perché l'aver messo le volontà di fine vita per iscritto, e averle divulgate, ha consentito che fossero indiscutibili, anche in assenza di una legge che disciplini la materia. La mia nomina ad amministratore di sostegno si è invece rivelata molto utile per permettere lo svolgimento di tutte quelle operazioni che lui, immobilizzato, non avrebbe potuto fare».
Avrebbe avuto anche la possibilità di staccare la spina.
«Qualora Paolo non fosse stato lucido fino alla fine, il ruolo assegnatomi dal giudice mi avrebbe permesso di far valere tutte le sue volontà precedentemente espresse. Grazie a questi passaggi Paolo ha potuto scegliere fino a quando voleva vivere e come andarsene».
Quali sono stati i momenti più importanti?
«Il trasferimento nella casa soggiorno Villa Magnolie che, pur non essendo in quel periodo luogo adibito ad ospitare malati di Sla, si è adoperata fino a diventare una struttura specializzata. Poi, mi preme sottolineare l'importanza che ha avuto il comunicatore simbolico nel migliorare la qualità della vita di Paolo. Questo computer, azionato con il movimento degli occhi, gli ha consentito di “uscire” dalla sua stanza e di comunicare con migliaia di persone. Il trasferimento e il comunicatore sono stati fondamentali per far cambiare idea a mio fratello, che nel 2007 voleva morire».
C'è qualcuno che vorrebbe ringraziare?
«In primis l'associazione Luca Coscioni e il movimento radicale che ci sono sempre stati a fianco. La casa soggiorno di Monastier, i medici, gli infermieri, gli operatori. E poi, ovviamente, tutte le nostre famiglie».
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