Ma su quell'arresto avrei votato no

Dalla Rassegna stampa

L’intervista su La Stampa con la quale Emma Bonino motiva il suo voto favorevole agli arresti per Lusi, mi ha colpito e mi induce a qualche osservazione. Di Emma ho grande stima; sono intimamente certo che i suoi atti corrispondano sempre ad una convinzione e gli argomenti che usa per sostenerli siano assolutamente sinceri. L’intervista ricorda, giustamente, che quando il parlamento è chiamato a pronunciarsi su misure giudiziarie che riguardino uno dei suoi componenti non giudica di accuse e reati, non è «la caricatura di un tribunale»; deve solo valutare se l’autorità giudiziaria dà adito al sospetto di accanirsi in modo non del tutto motivato nei confronti dell’accusato.
È quello che nel linguaggio aulico (e un po’ ridicolo) dell’ufficialità istituzionale si chiama fumus persecutionis. Bonino dichiara con grande nettezza che «a nostro avviso in questo caso non c’è accanimento giudiziario». Rispetto questo giudizio. Mi permetto solo di aggiungere che, per quanto ciascuno si sforzi di evitare interferenze (emotive, politiche, ideologiche o di altro tipo) valutare se esista o meno il famoso fumus è pur sempre un giudizio soggettivo, parziale e opinabile per definizione. Ad esempio, se io fossi stato (come mi è capitato tante volte in passato) fra coloro che dovevano esprimersi in questa circostanza, avrei votato contro l’autorizzazione all’arresto. Non perché consideri Lusi innocente – oltre tutto lui stesso ha già ammesso reati – o perché pensi che i reati che gli vengono imputati non possano comportare condanne da scontare in carcere. Lo avrei fatto esattamente nella logica invocata da Bonino.
Nel suo intervento al senato, Lusi ha infatti osservato che la richiesta di arresto non poteva scaturire dalla accusa originaria di “appropriazione indebita” (formulata a marzo), ma solo da quella ulteriore e successiva di “associazione per delinquere” (aggiunta a maggio); quando ormai erano ampiamente dissipati i possibili timori di inquinamento delle prove o di fuga. Non me la sarei sentita di considerare palesemente infondata questa osservazione. Ma si trattasse solo di questo non sarebbe altro che una ovvia, normale divergenza fra persone in buona fede e con sincera coscienza.
Il motivo per cui il voto a favore dell’arresto di Lusi mi è sembrato invece indecente, non degno di una libera assemblea parlamentare, è tutt’altro. È illustrato alla perfezione in una frase pronunciata qualche giorno fa da Francesco Rutelli: «Se il senato non vota per l’arresto, si rischia che la gente venga qui con i forconi». Quel sì all’arresto di Lusi, qualunque sia stato l’intimo convincimento di ciascuno, è gravato da questo fumus molto acre e sgradevole che non emanava dalle carte dei magistrati ma aveva invaso l’aula stessa di palazzo Madama: quel voto è stato dato perché fare diversamente sarebbe stato troppo pericoloso.
Ecco, questa è la ragione decisiva per cui non si doveva votare quell’arresto: una ragione tutta politica, dove non c’entra Lusi ma la dignità, la consapevolezza e la disponibilità ad emendarsi di una classe politica che si sente in stato d’accusa e si affida a misere scappatoie.

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