Ma qui siamo spiazzati

Proprio perché attenti alle ragioni dei radicali, qui a Europa siamo rimasti particolarmente spiazzati dai passaggi più recenti, passaggi controversi (dagli atteggiamenti in aula alla cena a palazzo Grazioli) che hanno destato molti malumori fra i democratici e corrispondenti tensioni fra questi e il partito di Pannella. L'articolo di Valter Vecellio ci aiuta a capire un po meglio.
Nell'articolo Vecellio ripercorre puntualmente le tappe di un rapporto che è andato via via deteriorandosi, su ciascuna delle quali si possono avere opinioni diverse. Il punto non è stabilire "chi abbia cominciato prima" o esibire prove di colpevolezza su questo o quell'episodio ma fare una discussione politica più di fondo.
In questo senso, la domanda è: qual è oggi, nella fase terminale del berlusconismo (che non coincide con la possibile caduta del governo ma allude ad un cambio di stagione politica), l'obiettivo dei radicali? Lavorare ancora nel centrosinistra, ricostruendo un rapporto positivo col Pd, con il naturale obiettivo di incidere e anzi di svolgere una battaglia politica all'interno della coalizione o è invece un altro? Un altro, non nel senso, banalmente, di "passare con Berlusconi": perché a questo non crediamo, dato che equivarrebbe alla fine politica del partito radicale. Nessuna persona di buon senso potrebbe infatti credere alla riesumazione della fola del'94 sul partito liberale di massa e simili: con l'uomo di Arcore, con la destra italiana, il partito radicale non può pensare di fare nemmeno dieci metri. I loro obiettivi non sono nemmeno pensabili nel campo di questa destra, e i radicali sanno, d'altra parte, che il governo Berlusconi non farà mai nulla per la loro causa. Così che andare a cena chez lui non ha avuto altro effetto se non quello di voler provocare stizza negli alleati, fornendo peraltro un clamoroso alibi a Guanti non vedono l'ora di sciogliere il patto. Modo strano di fare battaglia politica, a meno che non interessi più. Devono pensarla così anche quegli elettori, o comunque simpatizzanti, del partito di Pannella che hanno protestato per l'inutile colloquio a tavola con il più impresentabile degli uomini politici.
Resta l'ipotesi solitaria, che d'altronde il partito di Pannella ha già praticato in passato, non stare con nessuno, e verosimilmente fuori dal parlamento, ritagliandosi un ruolo di testimonianza che per quanto nobile parrebbe un po' al di sotto delle aspettative del suo stesso elettorato. Oppure, si torna lì: restare nel centrosinistra. Discutendo e litigando. In autonomia, dignitosamente.
Ci permettiamo di dire che sposare l'interpretazione berlusconiana della continuità Pci-Pds-Pd è un errore che non rende giustizia agli sforzi compiuti e al cammino che si è fatto, semmai contribuisce a far rinsecchire la pratica politica del Pd, rinunciando a "lavorare nel gorgo", anche nelle contraddizioni, allo scopo di forzare il corso delle cose nella direzione auspicata di un nuovo partito aperto, moderno, laico, riformista. Essere "anticomunisti" nei confronti del Pd fa torto al buon senso, lasciatelo fare al tuttora presidente del consiglio. Dopo di che si avranno sempre mille motivi per dichiararsi insoddisfatti: ma l'importante è sapere se si cerca di andare avanti o se si ergono nuovi ostacoli al percorso comune. Ci sono, nel Pd, posizioni e personalità che non aggradano? Si potrebbe dire che c'erano anche quando si accettò di entrare nelle liste. Che si sapeva tutto, e si era però scelto di percorrere una strada assieme.
Lasciando stare Togliatti, caro Valter, e anche la zattera delle meduse, è utile invece ripensare proprio a quell'accordo elettorale del 2008 grazie al quale i radicali sono tornati in parlamento. Oggi risulta chiaro che ci fu troppo tatticismo, sia nel Pd che nei radicali, troppi retropensieri, poca fiducia, poca disponibilità a rinunciare ciascuno a qualcosa. La cosa fu impostata male, senza un chiarimento di fondo preventivo, fu schiacciata sulla querelle dei posti da assegnare - 4, 5, 6, 7, Pannella sì, Pannella no - ed è proseguita peggio, malgrado successivi gesti importanti come la candida- tura di Emma Bonino nel Lazio fortemente voluta da Bersani (che aveva valorizzato una specifica caratura della vicepresidente del senato).
All'epoca dell'accordo, si sognava un modo diverso di concepire la politica, nel senso dell'apertura e della contaminazione. Oggi sembrerebbe, appunto, che solo di sogno si sia trattato, e non di un movimento politico reale. Sarebbe davvero una brutta cosa, se fosse così.
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