Lutto ergo sum

Dalla Rassegna stampa

Quando, all'inizio del capolavoro di Lev Tolstoj, uno dei partecipanti alla vuota conversazione con cui si apre "La morte di Ivan Il'ic" annuncia che Ivan II'ic "è morto", un altro dei presenti se ne esce in un meravigliato "è possibile?". Non è tanto l'incredulità a provocare l'uscita: "Il primo pensiero di tutti quei signori raccolti nello studio di Ivàn Egorovic Sebek fu rivolto all'influenza che quella morte poteva assumere su eventuali trasferimenti o promozioni". Cinicamente deprimente. Ma in definitiva, cosa pensiamo quando siamo colti da una morte che ci tocca da vicino?

Domani ricorre l'anniversario della scomparsa di una persona che per cinquanta anni mi è stata al fianco, Tutti (o quasi) mi hanno detto, in questo interminabile anno, che il tempo avrebbe lenito il dolore e fatto sbiadire il ricordo. Non mi pare che le cose stiano andando così. Ma anche per me, pur nella diversità dei miei sentimenti da quelli dei personaggi tolstoiani, risuona quell'angoscioso "è possibile?". Forse non c'è morte per la quale non si senta risuonare silenzioso, dentro di sé, quell'è possibile?". Ogni morte ci lascia increduli, anche la morte del vecchio irreparabilmente condannato. A molti quella morte lascia un vuoto interiore, che fa apparire impossibile, persino impensabile, l'evento. E si spalanca dinanzi a noi la domanda: "E ora? Ora, dove sarà, quello - o quella - che fino a un minuto fa era qui accanto a me, tra noi?". Troppo ovvio rispondere: "In nessun posto.

Semplicemente, non c'è più". Pena lo sconfessarsi, il laico deve tacere, deve dire di sì, confermare che anche per lui lo scomparso (o la scomparsa) semplicemente non c'è - non è - più. Ed è inutile per lui ricordare che invece, per la stragrande maggioranza degli umani, alla morte segue sempre qualcosa: una vita, a un simulacro di vita. Nell'Ade classico, l'animula vagula blandula" cantata da Adriano vive una copia in bianco e nero - o in grigio - della vita reale: una vita senza passioni, che sono il segno forte della vita. Tanto che, quando vogliono poter esprimere qualcosa, le povere animule debbono bere il sangue che della vita è simbolo e linfa - delle vittime sacrificali offerte da una mano pietosa: solo allora possono tornare ad avere passioni, dunque a vivere, sia pure per pochi attimi. Per il fedele buddista, fine auspicabile della vita è il nirvana, lo stato in cui si ottiene la liberazione dal dolore. Credo si possa dire che la dottrina del nirvana viene solitamente definita con termini non positivi, ma negativi: dato che il nirvana è al di là del pensiero razionale e del linguaggio, non è possibile affermare ciò che è quanto, piuttosto, quel che non è. Mi pare che quell'oltretomba sia un azzeramento dell'essere fenomenico, il vivente. Per il mondo ebraico - chiedo ovviamente scusa agli amici ebrei per qualche inesattezza - il dopo della morte è una narrazione un po' confusa, nella quale però mi pare predomini la certezza della resurrezione dei corpi - annunciata dal profeta Elia - al momento del ritorno dell'atteso Messia. Col cristianesimo invece l'individuo resta un membro della vivente comunità dei credenti, e la morte del corpo (la prima morte, dice Dante, la seconda morte essendo quella dell'anima, per effetto del peccato) è solo una tappa del processo storico universale che tende a una vita eterna, altra ma anche continuazione e "compimento" di quella terrena: dopo la morte, il singolo procede ancora nella storia umana, che è non solo storia personale, dell'individuo, ma è storia collettiva, una storia del mondo che assume l'aspetto di una storia provvidenziale, sorretta e guidata dalla presenza immanente di Dio. Nel funerale cristiano c'è una parte del rito aperta alla gioia. L'individuo azzera la morte fisica ed entra nella più vera vita, la vita della comunità di coloro che vedono il Cristo, dunque Dio. La morte offre così la possibilità di dare un compimento, un senso alla vita, anche quella del più miserabile, dimenticato essere umano. Si tratta di una rivoluzione culturale di cui siamo impregnati tutti, anche oggi, compresi i laici e persino i più incalliti laicisti. Dire che ha influenzato, plasmato, la civiltà occidentale è perfin poco. Il laico ascolta con simpatia queste affabulazioni, che hanno lo scopo pietoso di lenire la ferita della morte, anche la sua ferita. Sa che esse hanno un peso determinante in molta parte dell'immaginario collettivo della e delle società che lo circondano. Ma per lui tutto questo non basta, la ferita resta aperta, l'assenza è l'unica presenza che avverte, lancinante, accanto a sé, nel quotidiano. Una stimata psichiatra con la quale ho qualche dimestichezza mi ha detto che, quando muore qualcuno che ci è stato affettivamente vicino, dobbiamo passare quella che viene clinicamente chiamata la "elaborazione del lutto". È una esperienza, normalmente assai penosa, che può protrarsi a lungo; in alcuni casi, fino a cinque anni. Sul piano antropologico, pare che laici e credenti, cristiani, musulmani e buddisti, siano accomunati, dinanzi alla morte, solo in questo.

© 2011 Il Foglio. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK

Ti potrebbe interessare anche:

"I privilegi fiscali, lo scandalo dell'8 per mille e la continua ingerenza nella politica dimostrano quanto ancora gravi il peso del Vaticano sulla vita dei cittadini italiani", così il segretario di Radicali Italiani Riccardo Magi a Porta Pia, dove Radicali italiani e Radicali Roma hanno celebrato...
"Il governo riveda i criteri di assegnazione dell'8 per mille e usi questi fondi per finanziare il piano 'Casa Italia' e per la prevenzione del rischio sismico", a lanciare la proposta, in occasione della ricorrenza del XX settembre, il segretario di Radicali Italiani Riccardo Magi.   "A 146...
Siete sicuri che le ingerenze etiche e i privilegi fiscali del Vaticano non interessino la nostra vita personale? APPUNTAMENTO MARTEDì 20 SETTEMBRE ORE 18:00 - PIAZZALE DI PORTA PIA, ROMA. SEGUI L'EVENTO ► https://www.facebook.com/events/558578960992439  Per chi crede nella necessità...