L'Uomo Qualunque e poi "la qualunque"

Aria nuova nel Parlamento? Non succede per la prima volta. L’ingresso del Movimento Cinque Stelle alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica ha dei precedenti. Già nel passato il Paese veniva percorso da venti di insofferenza per la politica tradizionale e la voglia di cambiamento si esprimeva in aggregazioni nonconformiste o comunque caratterizzate da programmi, finalità e metodi differenti da quelli dei soliti partiti. Si comincia agli albori della stessa democrazia repubblicana. O meglio, due anni prima ancora della tappa fondamentale dell’Italia contemporanea. A Roma, il 27 dicembre 1944, si legge in stampa un proclama: «Questo è il giornale dell’uomo qualunque, stufo di tutti, il cui solo, ardente desiderio, è che nessuno gli rompa le scatole». Con linguaggio che anticipa quello Grillo, ecco la dichiarazione d’intenti di un nuovo settimanale, «L’Uomo Qualunque», fondato e diretto da Guglielmo Giannini, nativo di Pozzuoli, che vanta un curriculum all’americana. Commesso in un negozio di tessuti, muratore, grande viaggiatore, autore di commedie «gialle», infine giornalista. «L’Uomo Qualunque» non è in formato rotocalco, bensì quotidiano, con la stessa carta giallastra e scadente. Raccoglie umori già disincantati che maturano nella penisola. Utilizza la satira in termini pesantissimi e non di rado volgari, con travisamenti dei cognomi più illustri dei padri fondatori della Repubblica e un completo rifiuto della retorica antifascista dominante. Il tutto espresso con efficacia nel logo del giornale, dove appare il celebre omino schiacciato dal torchio, simbolo del vittimismo piccoloborghese rispetto ad un apparato di potere sentito come estraneo agli interessi concreti. «L’Uomo Qualunque» passa da una tiratura iniziale di 25 mila copie a 850 mila del maggio 1945. Fra il 16 ed il 19 febbraio dell’anno successivo, Giannini aggrega i suoi seguaci in un partito, nell’aula magna della città universitaria di Roma. Gli obiettivi risultano familiari, mirando al drastico ridimensionamento del peso statale, nell’uguale contrapposizione al comunismo ed al capitalismo monopolista, nella forte riduzione delle tasse. All’Assemblea Costituente, il giugno successivo, il Partito dell’Uomo Qualunque ottiene il 5,3 % dei voti e 30 deputati. Diviene la quinta formazione del Paese e a Roma supera di 6 mila voti la DC. Dopo alterni successi, l’Uomo Qualunque verrà disciolto nel 1948.
Più complessa ed articolata la parabola del Partito Radicale. Innanzi tutto, vanno distinti i suoi due rami, che corrispondono anche a periodi storici diversi. Il «Partito Radicale dei Liberali e Democratici Italiani» scaturisce 1’8 dicembre 1955 da una scissione della sinistra e del centro del PLI, alla cui testa si pone una squadra autorevole che annovera, fra gli altri, Mario Pannunzio, Ernesto Rossi, Nicolò Carandini, Leo Valiani, Guido Calogero, Giovanni Ferrara, Paolo Ungari, Eugenio Scalfari, un giovanissimo Marco Pannella, e Franco Roccella. È la reazione al bipolarismo imposto dalla Guerra Fredda. Gli intellettuali più avanzati rifiutano sia l’adesione obbligata all’atlantismo controllato dal Vaticano e dal mondo cattolico, sia il comunismo filosovietico. Raccogliendo l’eredità del grande Partito d’Azione, i radicali degli anni ‘50 sono per una società industriale protesa al futuro ed alle opportunità d’impresa. Anche nel loro caso, ne verrà un periodico indimenticato ed indimenticabile, «Il Mondo», di Mario Pannunzio, vivaio del migliore giornalismo che seguì. All’inizio degli anni ‘60, però, il rigorismo culturale del gruppo rischia di sfaldarsi dinanzi alla prepotente richiesta collettiva di innovazione. Sta già fermentando il ‘68 e solo in pochi riescono a coglierne i sintomi. Così Spadaccia, Pannella, Roccella, Mellini, Bandinelli, Teodori si mettono alla testa della pattuglia che creerà il Partito Radicale della rosa nel pugno. Il quale, alle elezioni de11976, quelle del «sorpasso a sinistra», ottiene 1’1,7 % e 4 seggi. Un trend che crescerà fino al 3,67 % delle elezioni europee de11979. Dieci anni dopo vi sarà la trasformazione in Partito Radicale transnazionale e sempre di più le liste ulteriori si accentreranno nominalmente sui nomi di Pannella e della Bonino. Nel frattempo, questa formazione ha segnato un’altra importante tappa del costume. Alle elezioni del 1987, il Partito Radicale candida Ilona Staller, che diviene parlamentare della X legislatura. Una carica non rinnovata alla tornata del 1991, quando Cicciolina si presentò con Moana Pozzi nelle liste del Partito dell’Amore di Riccardo Schicchi, senza venire eletta. Il 1976 è anche l’anno in cui arrivano fra i banchi di Montecitorio esponenti della sinistra extraparlamentare. I media si trovano in difficoltà. Come definire adesso Democrazia Proletaria, il Manifesto, Lotta Continua? Trascorso il picco degli anni di contrapposizione nelle strade e nelle piazze, Boato, Capanna, Magri e gli altri portano le loro battaglie nei palazzi delle istituzioni. Qualcuno prova a coniare l’aggettivo «ultraparlamentare». Non è finita.
E siamo a ieri, anche se vent’anni fa. Una frase, un’epoca: «L’Italia è il Paese che amo». Con un messaggio videoregistrato, scende in campo Silvio Berlusconi e nasce Forza Italia. La politica cambia sede. Finisce in televisione, nella terza camera, il salotto di Bruno Vespa. Contemporaneamente, al nord spira la tramontana leghista. Per la quale inizialmente perfino l’ex partigiano Giorgio Bocca non nasconde simpatie. L’alleanza Bossi-Berlusconi segna il trapasso di millennio e, pur fra distinguo resiste fino ad oggi. Quando un cognome che dovrebbe evocare il sommesso frinire del grillo esplode in un boato che conquista il 25%.
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