L'Onu frena, il raid è rinviato L'Italia: attendiamo gli ispettori

NEW YORK La domanda non è più se colpire la Siria, ma in che misura, con quali mezzi, e soprattutto quando. Usa, Francia e Gran Bretagna premono per un’ azione rapida e immediata, ma il passare del tempo lavora contro di loro, come si è visto dagli sviluppi della giornata di ieri, quando la lega Araba che si era allineata nella condanna di Bashar al Assad per avere usato armi chimiche contro la sua popolazione, si è dissociata invece dalla chiamata alle armi per una spedizione punitiva. A Roma, al termine di un incontro a palazzo Chigi, il nostro governo chiede che i responsabili della strage siano identificati e che rispondano alla giustizia internazionale. Il nostro ministro per gli esteri Emma Bonino in partenza oggi per Parigi per un incontro con Hollande, specifica che il consenso italiano a una eventuale spedizione punitiva non è scontato, ma che va negoziato direttamente con gli Usa. Gli inglesi hanno aperto ieri al Palazzo di Vetro di New York la discussione sulla crisi siriana; un passaggio formale imposto dal partito laburista come condizione per poter esprimere un voto favorevole nel dibattito parlamentare che si svolge oggi a Londra, e che indicherà la linea di azione del governo. I laburisti insistono nel chiedere che le prove raccolte dalle intelligente internazionali siano mostrate al Consiglio di sicurezza. Comunque vada, il veto sovietico contro una risoluzione Onu è scontato, ma il ministro degli Esteri inglese William Hague ha detto a chiusura della prima seduta che la discussione continuerà nei prossimi giorni, nella speranza che i paesi membri del Consiglio di Sicurezza si assumano le proprie responsabilità. Nella seduta di ieri l’ambasciatore siriano Bashar Jaafari ha rivelato l’esistenza di tre episodi finora sconosciuti di attacchi con l’uso di gas, per i quali ha indicato la responsabilità delle forze di opposizione, e ha chiesto che gli ispettori dell’Onu investighino anche su di essi.
Il segretario dell’Onu Ban Ki-moon ieri all’Aja ha chiesto quattro giorni di tempo perché l’inchiesta sia completata, e da Ginevra l’inviato speciale dell’Onu in Siria Lakhdar Brahimi ha annunciato che gli ispettori hanno già identificato tracce dell’assalto chimico del 21 agosto. Ma il dipartimento di Stato americano ha già risposto che troppo tempo è passato perché le tracce del gas siano ancora visibili. Le prove sarebbero invece nell’intercettazione di messaggi che hanno ordinato l’attacco. Un ordine che l’agenzia Bloomberg ieri attribuiva alla misteriosa figura di Maher, il fratello di Bashar al Assad, che era ritenuto morto in Russia dopo essere stato vittima di un attacco dinamitardo in Siria. Il rapporto potrebbe essere divulgato, forse all’Onu nella giornata odierna. Il confine tra Siria e Giordania è pattugliato da forze miste americane e giordane, e droni da ricognizione sorvolano la regione.
La Casa Bianca ieri è rimasta muta, in rispetto della celebrazione del cinquantenario della marcia su Washington del movimento per i diritti civili. Dal Congresso sale intanto la richiesta di 80 parlamentari per la convocazione straordinaria durante la pausa estiva per discutere, ed eventualmente approvare, la strategia da usare in Siria. Molti di loro obiettano che un attacco limitato come quello descritto finora dalla Casa Bianca potrebbe essere irrilevante per Assad e che lo lascerebbe ancora più tentato di far ricorso all’enorme arsenale di gas in suo possesso. Altri temono che anche un semplice lancio di missili segnerebbe l’apertura di un nuovo fronte di guerra, che gli americani non possono permettersi in tempi di economia traballante, e che in ogni caso non vogliono. L’urgenza di un’azione immediata sembra smorzarsi di fronte alle pressioni interne e internazionali, e la conferma viene dalla borsa di Wall Street, che ieri ha tirato un sospiro di sollievo con gli indici tornati in attivo. Ma il contemporaneo rincaro di oro e petrolio continua a scandire l’ansia per una decisione che sembra inevitabile.
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