L'indipendenza da preservare

Il risultato del primo turno delle elezioni francesi è chiaro: chiunque vinca farà pressioni sulla Banca centrale europea. Di conseguenza il dibattito sull'indipendenza delle banche centrali ritorna al centro del dibattito politico. Perché abbiamo una Banca centrale indipendente? L'inflazione degli anni 70 ci ha insegnato il costo di una politica monetaria troppo prona ai voleri dell'esecutivo. Un aumento inatteso dell'offerta di moneta si traduce in una riduzione solo temporanea della disoccupazione, al prezzo di un'inflazione permanentemente più elevata.
Il gioco non vale la candela, tranne che per un governo alla vigilia delle elezioni, disposto a sacrificare il bene futuro per un guadagno immediato. Per questo bisogna isolare la politica monetaria dalle pressioni elettorali.
Questo fu il motivo per cui nel 1981 avvenne il "divorzio" tra governo e Banca d'Italia, che rese quest'ultima più indipendente. Per questo nel 1998 la Banca d'Inghilterra fu resa indipendente dal tesoro britannico. Per questo la Banca Centrale Europea fu creata indipendente, con un solo obiettivo: la stabilità dei prezzi. Non fu mancanza di sensibilità sociale, ma coscienza dei limiti della politica monetaria. Ed anche sapiente allocazione della responsabilità politica. Nei Paesi che controllano la loro moneta, come l'Inghilterra, il parlamento può sempre cambiare il mandato della Banca Centrale. Deve però assumersene la responsabilità politica. Nell'Unione Europea questa decisione è resa più complicata dalla frammentazione politica, ma rimane possibile.
Perché, allora, nonostante queste solide ragioni, oggigiorno non solo uomini politici, ma anche economisti, tra cui il premio Nobel Paul Krugman, domandano a gran voce una politica monetaria più sensibile alle esigenze del ciclo economico? Sia l'economia americana che quella europea (soprattutto spagnola) sono paralizzate da un forte livello di indebitamento privato, che riduce il consumo e rallenta la ripresa. Il modo corretto per cercare di risolvere questo problema è una rinegoziazione (anche forzata) di parte dei debiti. Ma questa strada ha forti costi politici. Chi si trova a dover ridurre i propri crediti si oppone politicamente. Per questo, Krugman e altri preferiscono agire attraverso l'inflazione. L'inflazione altro non è che una forma di rinegoziazione forzosa: al debitore viene concesso di restituire meno (in termini reali) di quanto abbia preso a prestito. Ma si tratta di una forma iniqua (si applica a tutti, indipendentemente dal bisogno) e di una forma subdola, perché non c'è una decisione politica, votata in parlamento. Viene delegata alla Banca Centrale e mascherata come una decisione tecnica, quando si tratta di una decisione con forti effetti redistributivi e quindi una decisione che in una democrazia deve essere presa da rappresentanti eletti.
Le mie differenze con Krugman, quindi, non sono sul piano economico (quale strategie possono alleviare la crisi), ma sul piano politico e morale (ovvero quali tra queste sia giusto adottare). Sul piano morale trovo l'inflazione la più iniqua di tutte le imposte: colpisce indistintamente ricchi e poveri, minando la fiducia nello Stato e l'etica del risparmio. Proprio per questo preferisco forme più mirate di rinegoziazione. E se proprio si dovesse ricorrere all'inflazione, troverei giusto, dal punto di vista politico, che questa decisione venga presa da rappresentanti eletti, che sono politicamente responsabili di fronte agli elettori, non da tecnici non eletti.
In un articolo (sorprendentemente non tradotto in italiano) Krugman aveva giustamente accusato i padri fondatori dell'euro di non essere dei tecnici, ma dei romantici, che alle ragioni dell'economia avevano sovrapposto l'ideale politico di un'unione politica. Aveva ragione. L'euro non è stata una scelta economica, ma una scelta politica mascherata da scelta economica. Molti dei problemi che oggi ci troviamo ad affrontare (compresa una crisi di rigetto dell'euro da parte di large fasce della popolazione) è la logica conseguenza di quell'errore fatale: lasciare ai tecnocrati una scelta politica.
Coerentemente con questo ragionamento, Krugman dovrebbe essere d'accordo nel limitare la competenza delle banche centrali alle sole scelte tecniche (il livello di tasso di interesse compatibile con una stabilita' dei prezzi), lasciando ai rappresentanti eletti le scelte politiche (una redistribuzione di valore tra creditori e debitori). Invece no. Krugman protesta contro le ingerenze politiche dei tecnocrati solo quando queste producono delle politiche da lui non desiderate. Pronto a sostenere più potere ai tecnocrati, quando questo trasferimento facilita l'approvazione di politiche a lui care, anche se invise a una maggioranza della popolazione. Io invece rimango dell'idea che solo decisioni prettamente tecniche devono essere assegnate a organi puramente tecnici, lasciando ai politici la loro responsabilità. La Banca Centrale può essere attivista o indipendente. Non può essere entrambe. Io scelgo indipendente.
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