L'ex premier scommette sul disastro e punta al dopo-euro

Dalla Rassegna stampa

L’ ipotesi di un ritorno in campo di Berlusconi ha prodotto scarse reazioni ufficiali e molto movimento interno, sia nel partito che fuori. Non c’è sorpresa perché nessuno aveva creduto fino in fondo alle varie versioni (l’allenatore, il padre nobile, il fondatore) con cui il Cavaliere aveva cercato di far credere che si sarebbe fatto da parte. Ma c’è, soprattutto all’interno della generazione dei quarantenni vicini ad Alfano e degli ex ministri, la sensazione di una scelta precipitosa, tutta basata sull’istinto, in un momento in cui lo stato in cui versa il Paese avrebbe richiesto decisioni più meditate. Inoltre, non è un mistero, il ritorno di Silvio deciso alla sua maniera spazza via un anno di lavoro, di Alfano e del nuovo gruppo dirigente che il segretario aveva costruito, per trasformare il Pdl in un partito «normale» e credibile anche per gli elettori moderati stanchi della vecchia satrapia di Palazzo Grazioli.

Vi è poi un altro livello di analisi sulle conseguenze della scelta del Cavaliere. È il punto di vista di tutti gli osservatori qualificati, da Palazzo Chigi al Tesoro a Bankitalia e alle parti sociali, alle prese con la dura politica di rigore che la difesa dell’Eurozona comporta. In quegli ambienti si sta facendo strada un timore che, se fosse confermato, e se si diffondesse tra i partners dell’Unione, sarebbe destinato a provocare effetti imprevedibili. Si tratta della convinzione che Berlusconi si sarebbe risolto a tornare in campo, non per contestare le strategie anticrisi e la linea del rigore imposte dal suo successore, atteggiamento che di per sé risulterebbe devastante per la credibilità di un’Italia in bilico, com’è attualmente considerata in Europa. Ma, diversamente, perché convinto che gli sforzi a questo punto sarebbero inutili e che il crollo dell’euro sia ormai alle porte, dopo un agosto in cui si teme che l’assalto della speculazione supererà ogni limite. Un Berlusconi che, ragionando da imprenditore, valuta i numeri, legge le tabelle, constata che anche i Paesi come il Portogallo, che hanno fatto ricorso agli aiuti e si sono sottoposti alla severa disciplina della troika europea, non rivedono la luce, e decide di puntare tutto sul dopo, su «l’avevo detto io», e su un disastro di cui per una volta la responsabilità non potrebbe essergli attribuita.

A sostenere questa ipotesi sarebbero i dati di cui dispongono i suddetti osservatori e che probabilmente lo stesso Berlusconi non ha avuto difficoltà a procurarsi. Un quadro che non promette niente di buono per l’estate 2012. Ma che non autorizza a scommettere sul peggio.
 

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