L'euro non basta, ora l'unione politica

Che il nostro Sud sia intenzionalmente discriminato imprenditorialmente per lo strapotere della criminalità organizzata è cosa antica. Che piccole e medie aziende del nostro Nord siano sull’orlo del collasso per motivi finanziari è, purtroppo, cosa anch’essa nota. Che la disoccupazione giovanile sia un cancro in espansione metastatica originata da questa crisi recessiva - che è stupido ascrivere in gran parte solo al nostro debito pubblico - e quindi bisognosa di un miracolo illuministico è una realtà incontestabile.
Ma che una classe imprenditoriale tesa solo alla massimizzazione del profitto abbia lasciato in mutande zone del paese, inseguendo i propri interessi altrove, è altrettanto vero. Così come sarebbe demenziale se l’Unione europea dovesse continuare, per presunti interessi di parte nota, a considerare salvifica l’austerity. Quest’ultima è sempre una soluzione di natura temporanea per risolvere alcuni problemi interni e riacquistare credibilità internazionale quando è necessario. Non può essere una scelta strategica a lungo termine e deve lasciare il passo alla creatività investitrice altrimenti produce un buco nero. Quello dell’incremento della povertà, della disoccupazione, dell’escalation dei disordini sociali, a partire dai paesi più deboli, e ciò potrebbe incendiare i nostri territori europei. Attraendo altresì la criminalità, comunque aggettivata, fondamentalismi religiosi, la rabbia di presunte primavere che sembrano restaurazioni medievali, il terrorismo.
Altra cosa è la sobrietà, la rimozione degli sciupii, la lotta alla corruzione, pubblica e privata, il rispetto di regole del gioco scelte nell’interesse generale e delle generazioni future. Pensare che dopo dieci anni di moneta unica, fra paesi culturalmente ed economicamente diversi, non si sia veramente avviato un processo incisivo di unificazione salariale, e quindi del costo del lavoro, fiscale, militare ma solo dictat di regole bilancistiche pubbliche intrise di interessi peculiari rende l’Ue inattendibile. Per di più questi paesi sono competitivi fra loro nei confronti del resto del mondo, senza un progetto made in Europa per opporsi all’invasione commerciale di altri paesi nei quali i diritti umani e civili del mondo del lavoro sono sostanzialmente inesistenti.
Per non parlare del rifiuto degli Eurobond che è l’espressione di un pangermanesimo che vive ancora e che è stato l’origine di molti guai europei e mondiali. Questo è il vero problema del nostro paese, al di là della piccola vittoria di questi giorni. Convincere l’Europa, e quindi in particolare la Germania, che gli stati uniti d’Europa sono il bisogno principale da soddisfare avviando una fase unitaria politica e di sviluppo attraverso un monetarismo intelligente. La Germania, sin dai tempi degli Asburgo, ha vinto molte battaglie, non ha mai vinto veramente una guerra e quindi speriamo si convinca. La sola unità monetaria, è ormai chiaro, non ha senso se non verrà supportata da un’unione sociopolitica. Se questo processo non dovesse avviarsi velocemente attraverso uno sviluppo keynesiano coerente con la nostra contemporaneità, l’immissione di denaro nell’economia reale, investimenti pubblici ed anche una modesta ed a volte necessaria inflazione sarà necessario pensare ad un’altra Europa dove prevalga la ragionevolezza.
E per chi come noi rappresenta solo un sistema produttivo, e quindi manifatturiero, per la carenza di materie prime, energia o altro, sarà necessario, e lo è già ora, scegliere partner, europei ed extra europei, che ci consentano di sopravvivere, unitamente a politiche energetiche domestiche intelligenti e non faziose, per ridurre i costi della nostra comunità. Ecco a cosa serve questo governo, culturalmente anomalo, voluto dal capo dello stato: accantonare le divisioni interne per cercare di difendere unitariamente il nostro paese in questo agitato mare internazionale e trovare soluzioni condivise per iniziare la risalita. E poi naturalmente tornare a votare, fra avversari che condividono l’impianto costituzionale e le regole del gioco, divisi nei programmi per farle rispettare ma non sui contenuti delle stesse. Del resto questa esperienza governativa potrà produrre scomposizioni e ricomposizioni ideologiche naturali facendo luce sulla confusione politica oggi esistente.
E Monti, piaccia o non piaccia, e al di là della carenza politica in termini di marketing operativo e strategico del suo governo, è stato uno strumento catartico rispetto a tre anni di inconsistente falcume berlusconiano e ha ottenuto il rispetto dei partner europei arginando altresì la criminalità finanziaria. Senza dimenticare, ovviamente, l’aiuto di Draghi. È meglio convincersi che votare nel 2011 o rivotare nel 2013 avrebbe prodotto e produrrebbe danni maggiori.
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