Lettera - Welby, la centralità del malato

Caro direttore,
sul Riformista del 20 dicembre, Alessandro Calvi ha scritto un accorato articolo in ricordo di Piergiorgio Welby, esponente radicale, copresidente dell' Associazione Luca Coscioni, spentosi cinque anni fa, dopo una lunga e dolorosa malattia. Welby, imprigionato in un corpo di insensibilità, chiedeva solo una «morte opportuna», perché amava più di tutto la vita. Amava la moglie Mina, i suoi cari compagni di viaggio, l'impegno civile e politico. Non era certo un nichilista, come improvvidamente enfatizzò qualche politico. In «Lasciatemi morire», Piergiorgio affermava: «Il sogno di Luca Coscioni era quello di liberare la ricerca e dare voce, in tutti i sensi, ai malati. Il suo sogno è stato interrotto. Ora siamo noi a dover sognare anche per lui. Se sognare un poco è pericoloso, scriveva Marcel Proust, la cura non è sognare meno ma sognare di più. Sognare tutto il tempo». Un animo sensibile, un poeta, che, nonostante tutto, aveva deciso di lottare, di combattere fino alla fine. Quando l'esistenza divenne insostenibile, consapevolmente si fece staccare il respiratore. Una parte della classe politica non ebbe il buon senso di comprendere una scelta di ragione, una decisione drastica, pur tuttavia meditata. È la stessa classe politica, che oggi non riesce a confezionare una legge decente sul "fine vita", cioè una normativa chiara, snella, lineare, di pochi articoli, che sappia riconoscere autonomia e libertà al soggetto. La vita è sacra e inviolabile? Oppure essa può divenire anche disponibile? Sono quesiti difficili, di non facile soluzione. Ma ognuno di noi ha una precisa cultura.
Forse, sulla vita e sulla morte, non dovrebbero deliberare in senso stretto, irreversibile, gli Stati e le chiese. Si dovrebbe restituire, comunque, centralità al malato, che in certuni casi di travaglio estremo, intollerabile, può decidere per sé. L'ultima parola dovrebbe essere di pertinenza del soggetto e magari anche condivisa dai familiari più stretti. C'è il sospetto fondato che, su alcune tematiche bioetiche, certa politica sfrutti per un proprio tornaconto dogmi consolidati dell'etica confessionale. Ma ciò che vale per una morale tradizionale, non può essere pedissequamente applicato ad una società composita, plurale, di cittadini.
Marcello Buttazzo
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