Lettera - Marco, che da solo non può andare indietro né avanti

Cara Europa, ho visto in tv un Marco Pannella stremato dal digiuno e dalla sete. Prima che ieri mattina decidesse di farsi reidratare, ho avuto la sensazione che volesse davvero autorottamarsi, perché nessun politico a lui vicino è in grado o vuole fare la staffetta con lui nello spingere la contestazione al sistema fino al rischio della vita. Qualcuno dei suoi amici o ex amici come Teodori ha scritto che Marco ha vissuto l’azione politica come la forma più nobile di realizzazione della sua stessa personalità, ma questo gli ha dato l’illusione che il consenso alle sue iniziative fosse consenso al suo programma e non, come forse era, ammirazione della sua capacità di sacrificio. Non lo so, ma io sto dalla parte di chi paga di persona, anche se ne condivido solo alcune idee.
Alceo del Sannio, Roma
Caro amico, proprio questa possibilità di condividere, in parte, gli atteggiamenti, prima che le idee, di chi per esse mette in gioco la vita, ci dà la grande illusione, che è insieme una grande speranza; quella di vivere in un paese migliore di quello che è. Così un pugno di generosi fece l’unità d’Italia, così un altro pugno di generosi testimoniò contro il fascismo, Amendola, Gobetti, Matteotti, don Minzoni, così un altro pugno ancora – il terzo in un secolo – fece la resistenza. Siamo un paese di minoranze, che esprime valori di minoranza. Forse Pannella, negli ultimi anni, ha accentuato la sua ritirata nelle battaglie di minoranza, sempre eroiche ma marginali o elitarie, col rischio di allontanarsi dal disegno strategico col quale, nei primi decenni della repubblica, rifondò la Costituzione e il costume. Non so se la stanchezza sia figlia dell’avanzare degli anni o dell’indietreggiare delle disponibilità umane a condividere la lotta. Chi di noi ricorda i banchi per la raccolta delle firme teme che si tratti di entrambe le cose, e la seconda più grave della prima. E temo che l’ammirazione per le battaglie radicali, ancorché condite da invettive contro le istituzioni, che per chi ha spirito liberale sono inammissibili, abbia dato a Marco l’illusione di poter scambiare il consenso per il suo coraggio con quello per i contenuti politici.
Più ancora del referendum antiruiniano sulla legge 40, incomprensibile anche per elettori di media cultura, l’amnistia scatena antiche diffidenze. Molti si chiedono perché non dovrebbero bastare condizioni di accoglienza carceraria civile, larghissima depenalizzazione dei reati, divieto di carcerazione preventiva (salvo casi gravissimi), educazione scolastica e civile dei detenuti. Una volta fui sommerso dai fischi della platea quando, a un congresso nazionale di insegnanti, invece di porre la scuola come primo problema della società italiana, mi permisi di ricordare il riscatto dei detenuti. Allora – mi apostrofarono – dobbiamo rubare, stuprare, assassinare, spacciare droga, per avere anche noi una tinteggiata delle aule e banchi (non strumenti di tortura) per i giovani. Spetta a Marco uscire con disegni e alleanze politiche dalla più difficile delle situazioni: quella di chi non può tornare indietro, senza rischiare la possibilità di concludere vittoriosamente la sua lotta, e non può andare ancora avanti sulla via del sacrificio personale, senza rischiare che venga a mancare a tutti il combattente necessario.
Bisogna fare qualcosa non da solo, condividere qualche fatica con altri, sapendo ormai che gli italiani non sono più il popolo degli entusiasmi civili e della voglia di costruire un altro paese.
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