Lettera - Fine vita, la scelta e la legge

Dalla Rassegna stampa

Caro Augias, oggi ricorre il quinto anniversario della morte di Piergiorgio Welby. Malgrado il suo auspicio, fatto proprio dal presidente Napolitano, un dibattito serio tra le forze politiche e nelle sedi istituzionali sul tema della eutanasia non è mai neanche iniziato. L'unico "frutto", avvelenato dall'integralismo cattolico, di questi anni e delle dolorose vicende (Nuvoli ed Englaro in primis) che hanno fatto seguito a quella di Welby, è la legge - inumana e incostituzionale - sul testamento biologico. Il Parlamento continua ad ignorare il fenomeno estesissimo della eutanasia clandestina (si fa ma non si dice), così come i suicidi e i tentati suicidi di malati terminali (oltre 2 mila l'anno, ci informa l'Istat, il doppio dei morti sul lavoro): se non quando le vittime sono persone famose come Monicelli o Magri. Nel caso di quest'ultimo, i giornali hanno rivelato agli italiani che le nostre pessime leggi, dopo il turismo dei divorzi brevi e quello della fecondazione assistita, stanno incrementando anche il "turismo eutanasico" verso la Svizzera.
Carlo Troilo - Roma

Ipocrisia, scrive il signor Troilo. Sì, certo, ipocrisia. Ma ci si può chiedere non senza ragione se in un paese come il nostro, dove le posizioni libertarie sono sempre state difficili e di minoranza, non sia da preferire l'ipocrisia del "si fa ma non si dice" al tentativo di fare una legge destinata a diventare una mostruosità umana come per la procreazione assistita e il testamento biologico. Si tratta di temi sui quali ogni serena discussione è resa ardua da chi non accetta mediazione alcuna su principi che considera "non negoziabili". Allora meglio niente. Il tema della fine vita è delicatissimo e, forse, nella situazione data, una decisione caso per caso sarebbe da preferire anche a prescindere dall'ipocrisia. Decisione da parte di chi? Dell'interessato in primo luogo, se possibile, dei suoi familiari, del medico curante. Decidere su che cosa? La casistica è ampia.

Piergiorgio Welby chiedeva solo che si mettesse fine ad un'esistenza "vegetale" per lui insopportabile. Lucio Magri è andato in Svizzera per essere accompagnato alla morte con dignità e senza dolore. Entrambi i casi sono condivisibili. Diversa invece l'ipotesi dell'eutanasia vera e propria ovvero se io chiedessi a un medico di iniettarmi un liquido letale come dovetti fare anni fa per un cane molto malato senza speranza. Il mio suicidio riguarda solo me, è l'esercizio estremo della mia libertà sulla mia carcassa. Il coinvolgimento di un terzo, come sostiene giustamente Gustavo Zagrebelsky, trasforma il gesto d'un individuo in un fatto sociale, quindi meritevole di attenzione giuridica. Così in ogni caso si dovrebbe discutere la materia, con laica ragionevolezza, civile attenzione, senza dogmi, senza anatemi.

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