Lettera - Coppie di fatto: sì alla legge e no all’ipocrisia del Pdl

Dalla Rassegna stampa

Cara Europa, vorrei dire a Bersani, tramite le vostre pagine, il mio “grazie” di uomo “libero e liberale” per aver imboccato senza reticenze la via dei diritti civili, che non potrà non qualificare, nel ventunesimo secolo, la democrazia riformista contrapposta all’oscurantismo dei conservatori che negano l’eguaglianza. Io non sono gay, ho una famiglia “tradizionale”, ne sono contentissimo e mi auguro che essa resti sempre il fondamento maggioritario della nostra società: dal quale, come da un tronco sano, partano i rami delle differenze, anche radicali, ma tutte riconosciute e garantite dalla tolleranza e dalla legge comune.
Nicola Capano, Salerno

Caro avvocato, molti colleghi ed io pensiamo come lei e abbiamo sostenuto, al tempo di Prodi, la battaglia di Rosy Bindi e di altri “cattolici adulti” a favore dei Dico o unioni civili per le coppie di fatto: eterosessuali o omosessuali maschili e femminili. Volevano essere i Pacs francesi, tradotti in italiano con nome diverso. E sostenemmo anche il tentativo, ancor meno fortunato, del secondo e meno rimpianto governo del professore. In un momento in cui sono prevalenti le preoccupazioni economiche, Bersani ha detto al gay pride di Bologna che bisogna far uscire i diritti civili dal far west.
Su coloro che li invocano, la crisi economica incide ancor più spietatamente che su tutti noi, perché colpisce persone appunto prive di tutele giuridiche. Credo che su questo aspetto del problema potrebbe convenire anche l’ex ministro Fioroni. L’area dei diritti civili comprende, oltre al riconoscimento delle coppie, la lotta all’omofobia e alla transfobia, il divorzio breve, il testamento biologico, il diritto di cittadinanza per i figli di immigrati nati in Italia, e – vorrei aggiungere – una politica di prevenzione educativa e di repressione giudiziaria della violenza alle donne, omicidi (femminicidi) familiari, edizione Duemila del famigerato “delitto d’onore” che per secoli sporcò la cultura e la giustizia italiane. Che tutto ciò comporti la fiera opposizione dei Lupi, dei Quagliariello, dei Giovanardi (non parlo di Buttiglione, che è un filosofo di ben altra e alta cultura cattolica), non meraviglia.
Mi spiace invece che anche il nostro senatore D’Ubaldo pensi che il riconoscimento di diverse forme d’unione banalizzi quella che tutti riconosciamo come “il” matrimonio. Rispettiamo il diritto dei cattolici a chiedere che parole come famiglia e matrimonio siano riservate alla tradizione. Su questo punto ho trovato sempre un interlocutore convinto nel più intelligente rappresentante dei gay in parlamento, l’onorevole Grillini: nei suoi atti legislativi, non chiedeva “matrimoni” ma “unioni” per i suoi compagni. Del resto, alla stessa opinione dei cattolici, noi laici arriviamo con la nostra cultura civile e giuridica, che ben prima del diritto canonico diede del matrimonio, nel Digesto, le definizioni di Modestino, Ulpiano e altri geni pagani (che non sono solo monumenti davanti alla Cassazione per passanti ignari): Nuptiae sunt coniunctio maris et feminae, consortium omnis vitae (…) et quasi seminarium rei publicae. Altro che remedium concupiscentiae e contorcimenti agostiniani o peggio. Quel quasi seminarium rei publicae spiega anche perché lo stato liberale, pur prevalentemente divorzista, trattò la materia con estrema cautela (e non la risolse). Solo lo stato democratico la risolse, per via legislativa (Fortuna e Baslini) e referendaria (Pannella). Oggi bisogna estendere ad altri cittadini e cittadine, tutt’ora di serie B, i diritti che le culture liberali radicali e socialiste hanno conquistato definitivamente agli italiani. È in uscita da Longanesi un importante saggio di Giulio Giorello, Il tradimento in politica, in amore e altrove, dove il matrimonio è definito fatto «politico» per eccellenza: nel senso che interessa la polis tutta, anche coi suoi modi di organizzarlo: nuptiae, pax, unione civile, unione di fatto, ecc. L’importante non è la differenza di denominazione ma l’uguaglianza degli effetti. Che fra l’altro, ma lo dico come opinione e auspicio personali, ci darebbero anche la normalità dei comportamenti pubblici di tutti i cittadini, senza costringerne alcuni a sindacalismi folkloristici come i gay pride.

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