Lettera - Caro Monti, riparti dalla riforma delta giustizia

Egregio Professor Monti,
non s'adombri minimamente se lo scrivente rifiuta recisamente di conformarsi al pensiero corrente che vede, nella sua nomina a primo ministro, il fascio di luce salvifica che illumina il firmamento del pianeta Italia.
Questo mio giudizio non sarà di certo capace di scalfire il granitico "consenso " che la nostrana non politica sta riscuotendo, in questo momento, nel Paese. Quello che emerge, però, è la realtà di una vera e propria sconfitta della politica nel suo complesso, che con l'atto della dismissione della propria funzione regolatrice ed amministratrice, di fatto denega se stessa e si dichiara corpo estraneo e inutile. Ma i fatti che sono duri come le pietre, hanno testimoniato ancora una volta il pieno fallimento dell'istituto democratico, fondato sul consenso popolare, che cede il passo alla sostanziale istituzione della repubblica tecnocratica dei "saggi".
Come molte volte ho avuto modo di affermare, la presente situazione emergenziale nella quale ci si trova a dibattere, è la naturale figlia della falsa rivoluzione avvenuta nei primi anni '90 e della caduta, manu militari, delle istituzioni democratiche della cosiddetta prima Repubblica. Quel sommovimento ebbe il preciso demerito di dirupare un sistema fondato sugli storici partiti che avevano avuto il merito di ricostruire il Paese dalle rovine della Seconda Guerra Mondiale e di portarlo a livelli di vita civile, democratica ed economica mai avuti nella storia. Le formazioni politiche che dai primi anni Novanta si avvicendarono alla guida del Paese, alla prova dei fatti storici, che ancor oggi viviamo, si dimostrarono largamente insufficienti al compito che con grande presunzione avevano creduto di poter svolgere.
Questo ultimo ventennio è caratterizzato solo la storia di maggioranze incapaci di governare e di opposizioni incapaci di tale essenziale compito. Questi due decenni, in effetti, sono stati caratterizzati da infinite diatribe fra parti inconciliabili e incapaci di riconoscere la reciproca indispensabilità e attendibilità democratica e morale. Si sono intromesse, nel- l'ambito della dialettica politica tra le coalizioni, forze estranee alla contesa politica, che di nuovo hanno interferito e posto decisi limiti al dovere costituzionale di legiferare da parte del Parlamento e di governare da parte delle maggioranze. La situazione politica del Paese s'è vista cadere, per tali ragioni incostituzionali, in pieno stallo e le istituzioni competenti, maggioranza e opposizione, sono state deviate dalla giusta linea che la Costituzione ha a queste assegnato.
Oltretutto, si è venuta a verificare una lunga crisi economica e finanziaria internazionale, tipica del regime capitalista, che ha colpito tutte le economie del mondo e che non ha risparmiato neanche il nostro Paese. E emersa, in tale contesto, una violenta forza distruttrice che ha messo a dura prova le situazioni economiche e politiche, interne ad ogni nazione. Ma a tale emergenza, da noi, non si è potuto rispondere in modo adeguato, poiché questa s'è abbattuta su un complesso nazionale diviso, anzi lacerato da profonde guerre tra fazioni "l'un contro l'altra armate ". Ora, dopo i tristi eventi dei primi anni Novanta, di nuovo il Paese sembra essere caduto sotto commissariamento, per incapacità manifeste di fronteggiare la crisi che ha investito il Globo.
Sembra così che l'ineffabile professor Monti, che tale duro compito si è assunto, dovrà dipanare la matassa, che sembra per ciascheduno inestricabile. Qualche suggerimento, nel mio piccolo, oso darlo alle nuove dirigenze e spero tanto che alla nebulosità nei programmi di queste ore, segua una chiarezza nei comportamenti ed una linearità nelle realizzazioni. Non s'è udito, nelle dichiarazioni del nuovo dicastero, alcun accenno alla assoluta necessità di una seria e improcrastinabile riforma della giustizia, capace di ricondurre negli specifici ambiti costituzionali un Ordine che spesse volte s'è creduto Potere.
Allora, egregio professor Monti, in questa sede mi permetto di suggerire un semplice disegno di riforma della giustizia, al fine di cooperare affinché il Paese, in questo campo, esca dal profondo medioevo in cui da sempre giace. Faccio mio, signor professore, sperando che ella abbia la compiacenza di prenderlo in considerazione, un precedente disegno elaborato dalla politica. Si tratta di una proposta, che ho condiviso con Pannella, ed in specifico quella dell'elezione popolare del Giudice terzo, che deve avere uno status totalmente estraneo a quello dei funzionari statali addetti alla pubblica accusa. Il piano prevede anche la parità di condizione tra difesa e pubblica accusa, sia nell'ambito d'indagine, sia nell'ambito del confronto dibattimentale.
La Costituzione attribuisce esclusivamente al Parlamento, espressione del popolo, il potere legislativo, ed al governo, espressione della maggioranza parlamentare, quello esecutivo. La Carta costituzionale non prevede, altresì, un Terza camera formata da personale statale, assunto per concorso ed in grado di limitare od inficiare la potestà a legiferare del Parlamento od a bloccare, con improvvide e fumose "inchieste", l'attività industriale del Paese. Sarebbe inoltre necessario il ripristinare l'istituto dell'immunità parlamentare, instituito dai padri costituenti, per non mettere il Parlamento sotto ricatto da parte di chiunque.
Illustre professor Monti, nel suo non-programma, cui l'inanità delle Camere ha dato consensi bulgari, si tace rumorosamente di tutte le questioni sociali, dal lavoro per i giovani all'anti precarietà, sino ai problemi insiti nella cattiva gestione europea della moneta comune. Nulla si legge, illustre professore, sul suo non-programma che ha presentato ad un Parlamento di nuovo non in grado di esprimere linee e potestà di guida e di controllo. Si è quindi in un profondo nulla, se non all'annuncio di imminenti "pressioni" sui cittadini, chiamati ancora una volta a tirare la cinghia. Non me ne voglia, professor Monti, per questi semplici desiderata da parte di un cittadino che da un ventennio è privato del votare per il proprio partito, a causa di una poco democratica legge elettorale, quella maggioritaria, imposta dai Brenno del dopo '90. Distinti saluti.
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