L'esame europeo dei progressisti

Dalla Rassegna stampa

L'intervista di Bersani a tamtàm democratico sui temi europei (in un numero che, tra l'altro, contiene altri importanti contributi sull'argomento, a partire da quelli di Massimo D'Alema ed Emma Bonino) va considerata come l'indicazione di uno dei cardini essenziali del progetto di ricostruzione dell'Italia.

L'intervista indica l'orizzonte di un nuovo europeismo del Pd e delle forze progressiste continentali, un europeismo che riconcili il progetto europeo con il principio democratico e l'autonomia della politica. Bersani affronta il nodo cruciale dell'istituzione di una sovranità democratica condivisa quale condizione ineludibile, nel medio periodo, per la difesa dell'euro e per una nuova stagione di politiche progressiste per il lavoro, la crescita e l'eguaglianza sociale. Un'alleanza dei progressisti europei attorno a questo ambizioso obiettivo viene indicata come la sfida decisiva del prossimo biennio, 2012-13, nel quale i tre principali Paesi dell'area dell'euro, Germania, Francia e Italia, saranno chiamati a elezioni politiche in cui i governi uscenti di centro-destra potranno essere sconfitti e sostituiti. Un biennio che potrebbe peraltro accorciarsi, nell'ipotesi auspicabile e non irrealistica di un anticipo della scadenza elettorale al 2012 in Italia e Germania.

Perché questa diagnosi della crisi dell'euro è così importante sia per le forze progressiste europee che per il futuro dell'Italia? Per i progressisti europei è evidente la novità di questo impianto rispetto al radicamento nazionale delle tradizionali politiche socialdemocratiche, che rappresenta una delle ragioni per le quali la sinistra europea non è finora apparsa come un'alternativa credibile dopo la crisi economica globale. Al riguardo l'originalità del Pd rispetto alla tradizione socialista, l'aver individuato nella democrazia e nella sua rivitalizzazione il tema centrale della battaglia dei progressisti nel nuovo secolo, non appare più come un'astrazione. La crisi dell'euro segna uno spartiacque: solo la ricongiunzione fra progetto europeo e principio democratico può riaprire il campo a politiche di segno progressista in campo economico e sociale. Se l'Europa oggi è la questione cruciale, il tema democratico non è un annacquamento dell'identità socialista, ma è la condizione essenziale perché la politica possa tornare a essere uno strumento al servizio dei ceti deboli della società, a partire dai giovani precari e disoccupati.

Ma il nuovo europeismo democratico è decisivo anche per ripensare il rapporto tra istituzioni europee e ricostruzione italiana. Da questo punto di vista, il modo in cui si è sviluppata la discussione sui contenuti della lettera di Trichet e Draghi al governo italiano è viziato da un ritardo nel cogliere il cambio di fase che si è aperto con la crisi dei debiti sovrani. Oggi l'alternativa non è più quella degli anni Novanta, se essere a favore o contro i parametri di Maastricht, ma quella tra chi ritiene che l'euro possa essere salvato limitandosi a imporre, con qualsiasi mezzo e a qualsiasi costo, la disciplina di bilancio ai singoli Paesi membri, e chi invece ritiene che l'euro possa sopravvivere solo se si imbocca la strada di un governo economico comune.

La prima posizione è quella dei conservatori europei, la seconda è destinata a diventare la bandiera delle forze progressiste. Se è così, la lettera della Bce va considerata non come l'indicazione di un programma economico di lungo periodo, rispetto al quale prendere posizione, ma come il segno della doppia drammatica emergenza che stiamo attraversando: l'emergenza italiana, con un governo immobile e privo ormai di ogni credibilità internazionale, e l'emergenza europea, in cui la Banca centrale è chiamata a svolgere un ruolo di supplenza rispetto all'assenza di un governo politico dell'area dell'euro.

In questo quadro, ci si poteva aspettare che il direttivo della Bce, nel momento in cui assumeva la difficile decisione (contro l'orientamento della Bundesbank) di intervenire a favore dei titoli italiani e spagnoli, potesse indicare un programma economico non imperniato solo sulla salvaguardia dei saldi di bilancio nell'immediato? E c'è qualcuno nel Pd che può pensare che il nostro programma di legislatura possa coincidere con le indicazioni di quella lettera? Se la risposta a entrambe le domande è no, non ha molto senso proseguire una disputa su quel testo. Farlo significherebbe continuare a immaginare un'Italia con un governo impotente e commissariato e un'Europa in cui le decisioni possono essere assunte solo dalla Bce o da altri organismi tecnici. Non si tratta cioè di essere europeisti a giorni alterni, ma di esserlo nel modo nuovo e impegnativo che la fase attuale richiede.

Il fatto che i leader della Spd tedesca e del Ps francese siano stati invitati da Bersani sul palco di piazza San Giovanni a Roma il 5 novembre è il segno che il nuovo europeismo democratico è un pilastro centrale del progetto di ricostruzione che indichiamo all'Italia. E da quella piazza potrà venire nuovo slancio alla battaglia del Pd che, come gli altri grandi partiti progressisti europei, si candida con il proprio leader al governo del Paese e che lo fa in diretto collegamento alle forze con le quali si propone di costruire una nuova Europa.

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