Leo che parlò quando gli altri tacevano

In occasione della presentazione dei testi di Mario Pannunzio e Leo Valiani, "Epistolario, documenti articoli", Nino Aragno editore, curati da Massimo Teodori, Ernesto Galli della Loggia ha accusato sul "Corriere" di "vista corta" i primi radicali. In un articolo di lunedì, Galli della Loggia parla di ambizioni e limiti di un'area ideologico culturale, di una "terza via laica senza sbocco". Per la verità ci sembra che il professore ce l'abbia più con Valiani che con Pannunzio, perché si sa che di Pannunzio nessuno si azzarda mai a dir male: subito c'è chi insorge, mentre Valiani non ha difensori. E nemmeno a noi passa per la testa di difendere Leo Valiani dalle critiche di Galli della Loggia. Valiani avrebbe riso della nostra difesa. Può non aver ragione Galli Della Loggia che dice che a Valiani mancarono le doti politiche necessarie? Scopre un po' l'acqua calda. Lo stesso Valiani ebbe modo di ammettere candidamente che davanti alla frattura del Partito d'Azione preferì restare a fare il giornalista a Milano che correre nel partito socialista o in quello repubblicano, malgrado fosse convinto che si sarebbe potuta contenere la scissione se non si fosse messa pressione su Pani. Chissà? Ma Galli della Loggia affonda il bisturi nella scarsa capacità di comprensione dell'Italia del dopoguerra e critica una certa meccanicità di Valiani nel valutare le situazioni politiche, il centrosinistra ed il giolittismo ad esempio, o l'incapacità di capire a fondo il fenomeno del "malgoverno", la Democrazia cristiana. Anche qui Galli della Loggia avrà ragione: Valiani si esauriva nella condanna morale. E perché stupirsene? L 'esperienza politica di Valiani, classe 1909, non era adeguata probabilmente alla realtà del secondo dopoguerra. Valiani inizia giovanissimo la militanza nelle file comuniste. Si sente un figlio della rivoluzione d'ottobre. Dopo mille peripezie approderà all'area democratica, e la sua vita politica raggiunge l'apogeo nella lotta antistalinista ed in quella antifascista. Il politico Valiani si vede negli anni '30 passati tra confino e prigionia. Valiani non era vanitoso ma era consapevole di essere stato, come Mazzini, uno di quelli che parlano quando gli altri tacciono. Dopo la caduta del fascismo, la sua odissea politica è consumata come una candela. E anche qui diamo pure ragione a Galli della Loggia: Valiani si rifugia "in una autoreferenzialità incapace di vedere il nuovo e prenderne le misure". E quando mai Valiani aveva preteso di essere un interprete del nuovo? Era ancora addentro alla questione della dissoluzione dell'impero austroungarico in tarda età. Del nuovo si occupa Galli della Loggia e altri che pretendevano di tracciare la "terza via" laica, non Valiani, che bisognava prima un po' conoscerlo, per apprezzarlo.
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