L'altro italiano

Dalla Rassegna stampa

Ma è davvero italiano? Mi chiedeva con malizioso candore un collega straniero a proposito di Mario Draghi. E già: parrà impossibile a chi trova più comodo rappresentarci tutti come macchiette, ma anche Mario Draghi è italiano. L'altro. Quello che sa di cosa parla e che parla solo di ciò che sa. Quello che non cerca immediatamente di trasformarti in suo complice. E che sta sempre attento a non attirare l'attenzione, tanto che molti ne ignorano l'esistenza. Eppure c'è. Nelle imprese, nei mestieri, nelle università (straniere, di solito): dappertutto, tranne che in politica, perché i politici non lo metterebbero in lista e gli elettori emotivi non lo voterebbero mai.

L'altro italiano non è un santo (Draghi, per esempio, ha lavorato da Goldman & Sachs, cattedrale della finanza che non dà molti punti per il concorso di santità). Ma è una persona affidabile e la sua serietà non gli impedisce di essere creativo. Di svolgere, nella scacchiera del mondo, la parte del cavallo: mentre le altre pedine si muovono sui sentieri dell'ovvio - orizzontale e verticale lui imprevedibilmente scarta. Diventa presidente della Banca Europea e ti piazza subito una riduzione del costo del denaro che ai suoi predecessori sarebbe stato possibile estirpare soltanto con le pinze. Tanti vorrebbero che l'altro italiano lasciasse le imprese, i mestieri e le università per la politica. Ma l'esperienza di Draghi ci dimostra che non è così indispensabile: si può migliorare la reputazione dell'Italia facendo cose diverse dalla politica. Ci vengono anche meglio.

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