L'albero della fede

Hereafter" di Clint Eastwood ci parlava della morte - e del dopo. "L'albero della vita" o, come nelle locandine, "The tree of life", di Terrence Malick, vuole spiegarci il senso vero, profondo, della vita. Lo proiettano sotto casa mia, alla fine vado a vederlo. La cinepresa getta un insaziabile sguardo sul mistero: due ore e mezza, forse più, di immagini abbaglianti o nitide come incisioni al bulino, di piani narrativi coinvolgenti, di emozioni evocate da una regia implacabile, di una riflessione su di sé e sulla vita frutto non di una singola intuizione ma di un maniacale, lentissimo, collage di tante storie, della propria e/o delle altrui. Sono contento di non averlo perduto. In dvd, dove avrei potuto trovarlo tra qualche tempo, non darebbe le stesse emozioni: per restituirti la grandiosità emotiva delle origini del mondo evocate da Malick occorre il surrounding effect del grande schermo. Tutto bene, allora? No, niente affatto. Alla fine, il film mi ha deluso. E mi ha deluso non per qualche mancanza, ma per il troppo che trasmette, o pretende di trasmettere. Malick ha voluto scrivere, realizzare, il film definitivo, al di là del quale non si possa dire altro. Il cinema si presta da sempre a queste dilatazioni - di stampo religioso - ma difficilmente riesce convincente. A meno di non farne un racconto fantastico e utopico come "2001: Odissea nello spazio" di Kubrick, non necessariamente credibile e tuttavia assai più potente con il nero monolite simbolo della invenzione, per così dire, della fede assai più espressivo e originale del deserto salato che nelle sequenze finali del film di Malick sembra voglia evocare una sorta di paradiso, però visivamente scontato e banale.
Malick vuole essere creduto, è serissimo. Sono andato a cercare (senza troppa fatica, su Google) il significato del titolo, e trovo che l'albero della vita è una figura simbolica che trae origine dalla Bibbia, alla Genesi, dove viene identificato da Dio stesso con l'albero del bene e del male del paradiso terrestre. Nella cabala, ma anche nella ritualità cristiana e cattolica, intende spiegare il senso totale dell'esistenza, dell'intero creato. E infatti il film ha inizio con splendide carrellate che ripercorrono la creazione del mondo, lo sviluppo della vita vegetale e animale, persino l'epopea crudele dei dinosauri, e si conclude con immagini che sembrano evocare il ritorno a una sorta di unità pacificata delle vicende umane, una convergenza finalmente possibile di tutte le storie, compresa quella del protagonista Jack (Sean Penn) che, oltrepassata la soglia dell'ultima conoscenza, può rappacificarsi sia con il padre che con la madre. L'ossatura del film è infatti una storia che narra le vicende di una famiglia texana degli anni 50, tra ascesa e declino sociale, immagine angosciante di una certa America profonda, lontana nel tempo ma forse ancora viva. Intorno a questa storia, narrata con partecipe precisione, Malick impasta un contorno di riflessioni, sentenze religiose, moralità, che invece di spiegare la storia, la paralizzano. Curiosamente (ma di certo non casualmente) il personaggio principale, il signor O'Brien impersonato da un bravissimo Brad Pitt - padre di Jack, è cattolico (forse è di origine irlandese?). La cosa, storicamente, non mi convince, perché in quell'America i cattolici non potevano essere così numerosi e rappresentativi di una condizione umana. Comunque sia, la religiosità, l'appello a dio che continuamente affiora tra le maglie del racconto, è espressione di un cattolicesimo esteriore, esteriorizzato, buono per il conformista signor O'Brien: specie nel finale, il film è linguisticamente, dice mio figlio, la materializzazione del cattolicesimo rozzo, praticato da questo americano medio del Midwest, orgoglioso ma frustrato detentore di ben "23 brevetti", e le mille miglia lontano dalla moglie alla quale, almeno, le suore avevano insegnato che sempre, nella vita, occorre scegliere tra "natura" e "grazia".
Meglio la religiosità di "Moby Dick"
Sicuramente Malick è persona religiosa, suppongo che sia davvero un cattolico, il cattolicesimo permea la pellicola, al di là delle sequenze girate nella chiesa frequentata dalla famiglia O'Brien. Ma siamo lontani, per dire, dalla religiosità - ugualmente americana, forse anzi tipicamente americana - espressa di un romanzo come "Moby Dick", di stampo decisamente protestante. Certamente influenzato da una pubblicistica vasta e magari tendenziosa, sono portato a privilegiare la religiosità, tutta interiorizzata, di "Moby Dick". Alla fine la ritualità cattolica di questo ambizioso film non solo non convince, ma respinge.
Almeno respinge me, nella mia cultura laica, che non accetta nemmeno l'epigrafe iniziale della pellicola, la citazione dal Libro di Giobbe nella quale Iddio, al Giobbe che si lamenta per le sofferenze patite, di cui non sa rendersi ragione, dice con asprezza: "Quando io ponevo le fondamenta del mondo, tu dove eri?" Non sono uno scientista, ma a me la risposta al tremendo interrogativo sull'origine e le fondamenta del cosmo può venire solo dalle ricerche astrofisiche del Cern di Ginevra.
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