Lady Amnistia

Tra le dita, il ministro della Giustizia non ha solo la pallina da tennis con cui esercitarsi di continuo dopo essersi fratturata l’omero. Ha anche il cerino acceso che si sapeva le sarebbe finito in mano: ovvero il problema della riforma del sistema giudiziario e soprattutto la questione più infiammabile della fine del ventennio, l’amnistia e l’indulto, un primo passo per alleggerire e affrontare il dramma dell’emergenza delle carceri. Una svolta di civiltà chiesta dall’Europa. Ma contaminata dal legittimo sospetto di un utile salvacondotto per Silvio Berlusconi. Sondaggi alla mano, quanto di più impopolare e rischioso per un qualunque politico. Non per lei, Anna Maria Cancellieri che non lo è, scelta anche per questo, per non aver né clientele né serbatoi di voti, per aver sciolto 34 comuni per infiltrazioni mafiose, per essere una tecnica inossidabile che da tempo ha superato l’età della pensione (ha settant’anni).
In epoca di rottamazione, una nonna di ferro, una sceriffa, una Marianne italiana con il mito di Luigi Einaudi seduta alla scrivania di Palmiro Togliatti. Soprattutto un prefetto di grande carriera, cinque città da Vicenza a Genova, commissario a Bologna e a Parma, catapultato in un recinto di magistrati. Come dire infilare la mano coperta di miele in un vespaio. Per fortuna da ragazza non giocava con le bambole ma preferiva il calcio e il ruolo da portiere. Al momento, ha mostrato di saperci fare ancora nel parare i colpi. Anche nell’avanzare come un carro armato. Nei confronti degli avvocati, per esempio, che rumoreggiavano contro di lei in un convegno: «Ora me li tolgo dai piedi», ha detto più Bud Spencer che Ban Ki-moon.
Così in uno strepitoso "Faccia a faccia" con Giovanni Minoli a Radio 24, ha dichiarato che indulto e amnistia («Un vero imperativo categorico») non contemplano il caso Berlusconi («Penso proprio di no»). Poteva essere un modo per vedere l’effetto che faceva. Ecco qua, invece, una bagarre infernale, Gaetano Quagliariello arruffato come una iena, Matteo Renzi in versione Savonarola della giustizia. E lei, iceberg prefettizio dal viso di miss Marple, come se nulla fosse, come se il disagio di Angelino Alfano, e le pressioni dei falchi non rendessero l’aria pesante in Parlamento e a palazzo Piacentini, si è messa a placare animi: un complimento a Quagliariello, un omaggio al Parlamento sovrano («il governo si limita a esprimere un parere, a decidere sono le Camere con i due terzi»).
La sua posizione ha sollevato qualche mugugno tra i ministri, lato Pd, santo cielo un po’ di sensibilità politica, si è messo le mani nei capelli qualcuno. D’altra parte non è che il suo arrivo al ministero, voluto dal presidente Giorgio Napolitano conosciuto quando lui era ministro dell’Interno, sia stato accompagnato da squilli di fanfara. Sopravvissuta al fallimento dei tecnici di Monti e spostata dall’Interno, casa sua, dove è entrata per concorso nel 1972, la Cancellieri due figli, quattro nipoti, un marito paziente e farmacista che la trova splendida, beata lei, ha sgominato Piero Grasso, Maurizio Lupi, Michele Vieni, ed è approdata alla poltrona più complicata del governo di Enrico Letta.
Appena insediata ha ingaggiato un braccio di ferro con il Csm durato un mese per avere il via libera alle nomine di Renato Finocchi Ghersi a capo di gabinetto e Domenico Carcano a capo dell’ufficio legislativo, magistrati che non avrebbe potuto scegliere avendo tutti e due oltrepassato il limite dei dieci anni fuori ruolo. Per non parlare del fatto che si trattava di toghe di Magistratura democratica, corrente di centro-sinistra, particolare non di secondo piano per quelle di Magistratura indipendente, corrente di centro-destra, placate poi con la provvidenziale nomina di Simonetta Matone, magistrato vicina al Pdl, per il vertice del Dag, il Dipartimento per gli affari della giustizia. Quasi in contemporanea ha scelto Roberto Rao, ex deputato Udc alter ego di Pier Ferdinando Casini, come consigliere per le tematiche sociali (traduzione: è consigliere politico), inserendolo nella Commissione ministeriale sul sovraffollamento degli istituti penitenziari con la radicale Rita Bernardini («Bisogna rispettare i referendum», ha detto il ministro) e dopo aver chiamato come presidente Mauro Palma che già presiedeva il Comitato europeo contro la tortura. Nomine avvedute, tenendo ben presente le larghe intese, da prefetto accorto che deve gestire un territorio e i suoi centri di potere. In questo è una maga, dicono nell’entourage. Meno in Parlamento dove «non coltiva nessun rapporto» (il decreto salva carceri, raccontano, glielo stavano svuotando di significato sotto al naso, è stato salvato in extremis).
In un ministero molto tecnico dominato da uomini di giustizia forti come Luigi Birritteri, capo del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, Cancellieri è stata vissuta come un’aliena alla quale però non si riesce a rallentare il passo. I magistrati, ha detto, non conoscono gerarchie. Solo indipendenza e autonomia e allora come si fa a organizzare un lavoro di squadra? Intanto, si è messa a girare il Paese e le sue prigioni in lungo e in largo, puntando su misure alternative per risolvere il sovraffollamento, facendo partire il piano dei nuovi carceri, Cagliari, Sassari, e pensando al possibile utilizzo delle ex caserme. Gli obiettivi da raggiungere, alcuni già toccati, sono precisi: una nuova geografia giudiziaria, l’abbreviazione del processo civile e penale, il ruolo dei mediatori civili che ha aperto lo scontro con gli avvocati.
Un pacchetto ambizioso che è sicura dí realizzare in poco tempo: più o meno due mesi, servendosi anche di leggi delega, ha affermato nell’intervista-bagarre a Minoli senza usare un politichese fumoso. «Sono un’ottimista», ha detto. «Si vede», ha commentato ironico il conduttore. Pur camminando nel vero terreno di scontro di questo governo, la giustizia al tempo delle condanne e del redde rationem giudiziario del Cavaliere, fin dall’insediamento, Cancellieri si è tenuta ben lontana da questioni scottanti e politiche, a partire dal suo silenzio sulle intercettazioni.
A chi le chiedeva come stava affrontando il nuovo ruolo, ha ammesso: «Sto studiando » . Non ama i giri di parole. «Ha subito pressioni quando ha sciolto i comuni in odore di mafia? ». «Nooo!», taglia molto corto. Ora al ministero ora hanno scoperto il lato umano, la porta è aperta per (quasi) tutti ed è arrivata a sorpresa nella sala Livatino nel mezzo di una festa grande a base di porchetta per la pensione di uno storico impiegato, sconvolgendo tutti che non avevano mai visto un ministro affacciarsi in un’occasione simile. Uno di quei gesti di cortesia araba, è nata a Roma ma passava l’estate a Tripoli dove suo padre faceva l’imprenditore (ha speso parole dolenti per i profughi e per la tragedia di Lampedusa), che ne hanno fatto un’icona a Bologna dove è arrivata da commissario dopo che uno scandalo che aveva travolto il sindaco Flavio Delbono. All’epoca al Viminale c’era Roberto Maroni sordo ai nomi preferiti da Pier Luigi Bersani e Vasco Errani, ras della città, e che sapeva di non poter osare qualcuno in quota Lega. Furono le strutture interne a segnalare il prefetto ormai pensionato. Per lei fu la svolta: allora Bologna era politicamente il centro del mondo.
Ora, c’è l’Europa che l’aspetta, a Strasburgo, a inizio novembre per ascoltare come si sta affrontando l’emergenza carceraria, emergenza da sanare entro maggio 2014 pena una multa pecuniaria spaventosa. Sul tema, il ministro è assai protetto, in totale sintonia con Napolitano e già basterebbe. Ma tempo fa, in una lettera ha ricevuto altre parole d’incitamento e di fiducia. Sulla busta c’era scritto: mittente, Francesco, casa santa Marta, Città del Vaticano.
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