Intervista a Luciana Castellina: «Ciascuno deve scegliere il proprio destino»

Luciana Castellina sta salendo su un aereo per Bruxelles, quando la raggiungiamo, per un incontro di «un’altra Europa è possibile», che raggruppa tante persone e formazioni diverse, da Sbilanciamoci, a cui fa riferimento Luciana, a Tsipras, a Pittella. Sale a bordo anche Stefano Fassina. Fra le testimonianze raccolte dalla associazione Coscioni in favore dell’eutanasia e di un dibattito sul fine vita, c’è quella di Luciana Castellina che accompagnò, con gli altri compagni di un’intera esistenza, gli ultimi tempi di Lucio Magri, della cui fine drammatica c’è una forte eco nelle sue parole.
Mi hanno colpito, fra le tante, le parole di Umberto Veronesi che, dopo aver spiegato che nella medicina si deve passare dal paternalismo alla responsabilità e all’autodeterminazione, ha aggiunto, "la vita è un diritto ma non è un dovere". Lei cosa ne pensa?
«Sono dell’opinione che ciascuno deve poter fare quello che vuole della propria vita, anche se si possono criticare le scelte, soprattutto se quelle scelte provocano molto dolore agli altri, tanto più quando non si tratta di malati terminali. Ma bisogna anche capire che la depressione, spesso, fa più male del male fisico».
Giorgio Napolitano ha risposto all’appello dell’associazione Coscioni, "il Parlamernto non dovrebbe ignorare - ha scritto - il problema delle scelte di fine vita". Vi si solleva l’attenzione della politica alle tematiche che vengono definite eticamente sensibili?
«Il messaggio di Napolitano è davvero bello. Quello che si solleva è un drammatico velo anche sul senso delle iniziative di legge popolare, che la Costituzione prevede ma che il Parlamento ignora, non porta a buon fine, non discute mai e, quando lo fa, si risolve a discutere dopo troppo tempo, quando si è perduta l’attualità della volontà popolare. Invece il Parlamento dovrebbe avere la sensibilità di ascoltare, farebbe bene al Parlamento stesso confrontarsi su temi che vengono dalla esperienza diretta delle persone e dalle loro sofferenze. Invece, gran parte delle cose di cui discutono i parlamentari sono distanti dall’esperienza diretta, la riforma del Senato è importante ma certamente lontana dall’esperienza diretta di 60 milioni di italiani e, infatti, le opinioni che emergono sono molto semplificate, sono sempre "tagliare", "abolire"».
Le tematiche etiche dividono fortemente l’opinione pubblica. Lei ritiene che sia un rischio da correre?
«Negli anni Settanta si discussero in Parlamento tematiche che erano fortemente sentite fra la gente, il divorzio, l’aborto. Da deputata sentivo questa partecipazione, questa consonanza con una parte considerevole delle persone. Adesso le cose sono molto più rarefatte. I partiti di massa erano una cinghia di trasmissione dei sentimenti delle persone comuni, li collegavano alle istituzioni. Ora al massimo c’è un sì o un no attraverso un computer».
Effettivamente colpisce che anche le nuove rappresentanze in Parlamento si adeguano rapidamente al politichese.
«Sarà peggio con la nuova legge elettorale. Penso che si debba pensare un altro modello di democrazia, una diversa rete connettiva, visto che i partiti di massa non ci sono più. Sono molto pessimista sulla crisi della democrazia».
Sul fine vita, non teme che riprendano le crociate? Oppure, comunque, alla fine di un percorso anche accidentato, si produce una crescita collettiva?
«La domanda che viene dal basso non deve essere repressa. Io penso che, in una società laica, ci dovrebbe essere il minimo, dal punto di vista delle leggi e il massimo di discrezionalità per gli individui. Purtroppo siamo un paese dove si accetta che le credenze religiose entrino nelle leggi, e questo costringe a legiferare, per limitare l’imposizione religiosa che impedisce una visione laica».
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