Gli interrogativi della vittoria

Come si usa dire, l’onda lunga dilaga. Non c’è da meravigliarsi che il giorno dopo di Renzi coincida con un’altra vittoria, in sostanza una conferma. Quando tutto gira nel modo giusto, i tasselli si compongono senza sforzo, che si tratti del voto europeo o amministrativo. Il Piemonte e l’Abruzzo, Firenze egli altri comuni: sono altrettante gemme nella corona del premier. Il problema del segretario-presidente è adesso come gestire questo immenso successo. Da dove cominciare. E quali pericoli evitare. Se Matteo Renzi fosse un generale romano vittorioso, in procinto di attraversare la città in trionfo, dietro di lui ci sarebbe qualcuno che gli sussurra all’orecchio: «ricordati che sei un uomo». Ma, i tempi sono cambiati e forse il premier non ha bisogno di un simile avvertimento. Conosce le trappole e sa come non metterci il piede. Ieri il tono della sua conferenza stampa, quella destinata ad avviare la nuova fase post-elettorale, era sobrio e severo, come si conviene a un vincitore che non si esalta ed è consapevole delle accresciute responsabilità.
La parola d’ordine è «non abbiamo più alibi», quasi ad anticipare la più ovvia delle analisi giornalistiche. Ed è vero, peraltro. Nel momento in cui lo hanno sepolto sotto una valanga di consensi, gli italiani hanno anche detto a Renzi che si aspettano da lui meno parole e molti fatti. Eppure la volontà e la determinazione da sole non bastano. Come non basta, a dire il vero, il mero requisito della velocità: il permanente "veni, vidi, vici" stile Giulio Cesare che il premier ama replicare in ogni circostanza. Oggi mettersi all’opera significa anche e soprattutto darsi delle priorità e non affastellare tutto e subito con il rischio di intasare il sentiero delle buone intenzioni. Renzi ha davanti a sé una preziosa opportunità, lo abbiamo scritto e detto un po’ tutti nelle ultime 36 ore. E quindi non deve sussistere nemmeno il più piccolo sospetto che l’accelerazione sulle riforme nasconda in realtà la ricerca di un "casus belli", di un pretesto per ottenere lo scioglimento delle Camere. Non è così. Bisogna dare credito a Renzi quando afferma che intende governare al meglio perché questo è il messaggio dell’elettorato. Ma governare e fare le riforme vuol dire accettare qualche mediazione quando è indispensabile: non limitarsi a mettere sulla bilancia il peso del risultato del 25 maggio. Le riforme, specie quelle che esigono il concorso in Parlamento del centro destra berlusconiano, impongono qualche compromesso.
Ad esempio sulla legge elettorale, il cosiddetto "Italicum". Magari anche sulla riforma del Senato. Renzi dimostrerebbe doti di statista, se riuscisse a riformare l’irriformabile sistema italiano invece di correre alla prima occasione verso l’ennesimo lavacro elettorale. È chiaro che la disponibilità del partner berlusconiano va verificata. E potrebbe esserci un tentativo di alzare il prezzo da parte degli sconfitti: Brunetta già dice che non si deve tornare al patto del Nazareno e Salvini, che invece è soddisfatto del risultato della Lega, è svelto a proporre una sorta di costituente per trascinare quel che resta di Forza Italia sulle posizioni di Marine Le Pen. Ma Berlusconi ha interesse a non scendere su questo terreno e a gestire un rapporto politico-parlamentare con Renzi. Le elezioni adesso, con la destra bisognosa di essere ricostruita dalla fondamenta, sarebbero un grave errore. Quanto al "maalox" di Grillo, la scenetta è divertente, ma non offre indicazioni sul prossimo futuro dei Cinque Stelle. Qualcuno spera in un’improvvisa conversione, in un Grillo che accetta di fare accordi sulle riforme e altro con il partito del premier. È un’ipotesi che renderebbe meno cruciale l’appoggio di Berlusconi. Tuttavia essa rischia di essere un’illusione: finora il M5S ha dimostrato di possedere solo la marcia avanti, a costo di finire contro un muro.
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