Int. a L. Gullotta - Gullotta: «Fare outing? Una scelta, mai un obbligo»

Dalla Rassegna stampa

Il filosofo Gianni Vattimo, a metà degli anni Settanta, pensava solo a pensare. Non intendeva raccontare al mondo le proprie scelte e la propria vita privata. Fu costretto a fare outing dopo un articolo di giornale che lo definiva «il candidato omosessuale del Partito Radicale». L'attore Leo Gullotta fece outing volontariamente nel 1995 affermando di non essersi deciso prima perché «in Italia bisogna saper valutare bene: nonostante le non poche battaglie di principio ingaggiate e vinte, si viene comunque additati al giudizio pubblico». Due persone, due diverse posizioni, due scelte di differente segno.
 
Gullotta si pronuncia ora sulle polemiche che sono seguite alle esequie di Lucio Dalla in San Petronio a Bologna e sulla presenza in chiesa del compagno del cantante.
 
Il confessore di Dalla sottolinea che Lucio «non ha mai voluto conclamare» la propria omosessualità.
«Un suo diritto inalienabile, mi sembra. Esattamente come quello di fare il contrario. L'outing è una scelta, non un obbligo. Appartiene alla sovranità assoluta di una persona sulle proprie situazioni intime. Trovo immorale, ingiusto e molto ipocrita accanirsi sulla posizione di un individuo che, sempre se non nuoce alla libertà altrui, ha abbracciato una sua opzione di vita, alla quale nessuno può opporsi».
 
Il mondo gay è diviso sulla questione outing?
«C'è qualcuno, io credo, che ha qualche fremito di troppo. Quello che penso io l'ho appena detto: fare outing è una libera scelta, una decisione autonoma. Non può diventare un'imposizione».
 
Cosa pensa di Dalla?
«Lucio è un artista, un poeta. Nella vita ha cantato e amato. Tanti, troppi, parlano d'amore senza sapere cosa sia veramente. Così, in certi casi, l'amore li spaventa. L'ha detto in tante sue canzoni, Lucio, ha fatto tanti outing. Sarebbe bastato, per capire, ascoltarlo, amare la vita e le persone come lui le amava. Lucio rimasto bambino. Gesù ha detto: lasciate che i bambini vengano a me. Lucio lo aveva ben presente e ci è andato, verso la figura del Cristo, fino alla fine, al momento del suo congedo pubblico dalla vita terrena».

Giudica giusto il dibattito innescato dal programma di Lucia Annunziata?
«Se questo nostro Paese non fosse ancora tremendamente, irrimediabilmente ipocrita, sarebbe anche interessante, giusto, discutere di certi argomenti, approfondirli. Ma qui si va avanti a colpi di letterine, mail, messaggini, commenti del giorno dopo, il più delle volte vestiti di squallore. Sono indignato. Come cittadino. Tutti parlano, nessuno ascolta davvero».
 

Quale pensa sia la posizione più equilibrata?
«Sarebbe il momento del silenzio, del raccoglimento, del rispetto responsabile. Altro che trovare mille nomi diversi per Marco Alemanno: il collaboratore, l'amico, l'amico del cuore... Sarebbe bastato ascoltare il suo dolore di uomo, vicino all'altare, quando ha detto addio, e grazie, ad una persona che gli ha voluto bene».

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