"Inammissibili" La Corte boccia i referendum

Dalla Rassegna stampa

La Corte costituzionale ha detto no. Seccamente. I referendum sulla legge elettorale non sono «ammissibili». Poi, certo, ci sarà modo nelle motivazioni di esprimere le proprie perplessità. Ci saranno passaggi critici sul premio di maggioranza e sulla scomparsa del voto di preferenza. Ma nulla di più. Non ci sarà alcun ultimatum al Parlamento, come sarebbe stato se la Corte avesse sollevata davanti a sé medesima la questione di costituzionalità della legge stessa. In questa decisione - di restare sul piano del monito - hanno giocato motivi tecnico-giuridici, ma anche politici e psicologici. Si racconta che la maggioranza della Corte non se la sia sentita d'infilarsi in una polemica spinosa, ma prevedibile, sulla «invasione di campo» rispetto al potere legislativo. E così monito sarà.

Una decisione del genere, però, lascia l'amaro in bocca a chi ci ha creduto in questo referendum. Così è per il milione e duecentomila cittadini che avevano sottoscritto i quesiti. Anche i politici del comitato proponente sono delusi. Ciascuno però reagisce con il proprio stile. «Non ci fermeremo», garantisce Andrea Morrone, presidente del comitato promotore. Il più veemente è Antonio Di Pietro: «L'Italia - esplode a caldo - si sta avviando lentamente verso una rischiosa deriva antidemocratica: manca solo l'olio di ricino». Ma poi Di Pietro continuerà per tutto il giorno la sua polemica, tirando dentro anche il Quirinale, il voto su Cosentino e il Pd che non avrebbe fatto abbastanza, infiammando la giornata.

Anche Mariotto Segni è molto critico: «La Corte si è fatta spingere da forti pressioni politiche». Sono in tanti quelli che alludono ai ragionamenti più politici che giuridici che avrebbero prevalso alla Consulta. L'ex ministro Sandro Bondi riapre ad esempio una vecchia polemica: «È difficile - dice - non sottolineare una indubbia sensibilità politica che emerge dalla sentenza, rivelata dalla dichiarazione di costituzionalità della legge e insieme dal singolare invito a cambiare la legge stessa. Se questa sensibilità politica si fosse rivelata in un altro contesto politico, in occasione ad esempio dell'esame del lodo Alfano, la vita politica avrebbe potuto avere un corso diverso». Bersani, che notoriamente deve tenere insieme due anime nel Pd, ieri s'è tenuto sulle generali: «Chi come noi ha dato un aiuto decisivo per la raccolta delle firme non può certo gioire per la sentenza della Corte, tuttavia la rispettiamo. Leggeremo il dispositivo per farci illuminare. Adesso tocca al Parlamento». E così tanti altri, da Casini a Fini a Berlusconi stesso. Finché non giunge un intervento di Napolitano che invita esplicitamente a deliberare «un diverso meccanismo elettorale».

A fronte della delusione di chi sperava in questo referendum si coglie invece la palese soddisfazione di chi lo temeva. Parla Maurizio Gasparri: «Ora si può dire che è stata presa la decisione più logica respingendo i referendum elettorali, palesemente inammissibili». E Marco Pannella, vecchio combattente di battaglie referendarie, è ironico: «La quasi scontata decisione della Corte ci ha regalato un immediato esilarante concerto di rane gracchianti: Democrazia! Costituzione! Giustizia! Proprio da parte loro, cioè gran parte dei partitocrati...».

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