"Ho scelto per lui rispettando in pieno le sue volontà"

Dalla Rassegna stampa

Mio marito mi diceva sempre: “Pensa il paradosso, tu sei sana e puoi scegliere di ucciderti, io sono malato e non mi danno questa possibilità”. Stefania è stata la moglie di Claudio Sabelli, morto nel 2012 a 59 anni dopo aver combattuto, invano come tutti, la sua battaglia contro la Sla. Lei oggi è nel Direttivo dell’associazione "Viva la vita onlus", che due giorni fa ha sollevato un nuovo polverone intorno al tema del fine vita con l’intervista al neurologo del Gemelli, Mario Sabatelli, responsabile del Centro Sla dell’ospedale cattolico. Stefania - e tutti i parenti dei malati di Sla, come lei - non può non sposare la condotta del professore: libertà di decidere se fare o meno la tracheostomia nel momento in cui il paziente non ce la fa più a respirare da solo, ma anche e soprattutto libertà di scegliere se - dopo sei mesi o dopo tanti anni - non si vuole più essere mantenuti in vita "artificiosamente".

"Claudio era un uomo totalmente autosufficiente - racconta la signora al Fatto Quotidiano -. Quando è subentrata la crisi respiratoria e ha deciso di sottoporsi alla tracheostomia, mi sono stupita io stessa. Ma lui non se la sentiva di morire, era troppo attaccato alla vita. E quello era il momento di scegliere. È rimasto così per 8 anni, all’inizio dei quali ha anche avuto un visibile miglioramento. Pensi che ha scritto un libro con gli occhi (attraverso il puntatore oculare, ndr), ha rilasciato interviste, ha combattuto tanto. Mi diceva: “Stefania, io sto tentando di dare un senso a questa nuova esistenza-. Stefania e Claudio hanno però affrontato per tempo quello che sarebbe stato il destino dell’uomo. -Quando sarà il momento, non lasciarmi a guardare il soffitto”, ha ribadito più volte - prosegue la moglie. L’accordo era che qualora non avesse più avuto la forza di sopportare questa fatica sovrumana, avrebbe potuto decidere di smettere". La Sla è una malattia subdola, che aggredisce il corpo giorno dopo giorno. E così nell’ultimo anno Claudio Sabelli ha perso anche la capacità di comunicare con gli occhi. "E poi subentrata una complicazione intestinale, e bisognava decidere se sottoporre mio marito a un intervento che avrebbe avuto terribili conseguenze sul suo fisico. Ho preso io la decisione, rispettando in tutto e per tutto quella che è sempre stata la sua volontà. È stato sedato e in tre giorni se n’è andato senza ulteriori sofferenze. Mi chiede cosa è accaduto dopo? Mi è venuto lo scrupolo di non averlo fatto prima: avrei potuto risparmiargli un anno di dolore".

Il marito di Nella, invece, è ancora vivo. Dal 30 novembre 2007 è attaccato al respiratore meccanico. "Ha dovuto prendere una decisione: morire o vivere con un tubo in gola racconta la signora -. All’inizio non era molto convinto, ma poi il professor Sabatelli gli ha prospettato la possibilità di tornare indietro, una volta eseguita la tracheostomia. È stato determinante, insieme con la mia rassicurazione che gli sarei stata accanto comunque. Perché è difficile scegliere quando capisci che stai per morire". Anche Nella riferisce di un iniziale miglioramento, "ma poi la malattia ha fatto il suo corso". Inarrestabile. Oggi mio marito non comunica più, non è più in grado di esprimere la propria volontà e io mi trovo a vivere con questa terribile responsabilità: devo decidere per lui. Non abbiamo parlato tanto della morte, quando ancora ce n’era la possibilità. L’unica cosa che so è che lui non avrebbe voluto vivere da ‘incapace di intendere e di volere’. Ma chi mi assicura che oggi, pur non comunicando, non abbia delle volontà? E allora posso solo curarlo, e assisterlo. Perché mio marito è un uomo eccezionale".

Luigi Brunori, invece, comunica ancora con un puntatore e ha le idee chiare: "Io credo che dovremmo attivare un confronto culturale pacato chiedendo ai cattolici di partecipare fuori da schemi precostituiti". Luigi ha scritto una lettera al Papa e spera che Francesco possa rispondergli: "Io voglio vivere e cerco di dare un senso anche al mio stato - ha spiegato a Bergoglio - ma so che arriverà il momento in cui anche la lampadina, che illumina la stanza del cervello, si spegnerà. La stanchezza non la possiamo controllare oltre un certo limite e nessuno può indicare quale sia il limite di ogni uomo. [...] ‘La scelta’, il grande dono che il Signore ci ha donato, insieme alla vita, la libertà di poter fare le nostre scelte. La mia fede è piccolina, ne sono consapevole, sono un cattolico più per cultura che per fede, e vorrei che la mia scelta sia giudicata solo da Lui e non merce di squallide e pretestuose polemiche per fini che nulla hanno a che fare con i valori che professiamo". Dopo l’intervista al professor Sabatelli, come era prevedibile i quotidiani e i siti cattolici ieri si sono scatenati. L’Unione cristiani cattolici razionali ha parlato di "manipolare la realtà e l’informazione per instillare precisi ragionamenti, ingannando i cittadini italiani al fine di sponsorizzare leggi contro la dignità della vita e in favore della ‘cultura dello scarto-.

Di "caso limite, spesso e volentieri stiracchiato e/o taroccato a dovere, che incasina tutto e consente a radicali & friends di ribadire le loro solite vecchie palle" ha scritto "Correttore di bozze" su Tempi. Basterebbe forse parlare con i parenti dei malati o leggere attentamente le notizie che si commentano per comprendere che è giunto il tempo di colmare il vuoto legislativo sul fine vita che relega il nostro Paese a uno degli ultimi posti in Europa. Ieri di eutanasia hanno discusso a Firenze il pediatra olandese Eduard Verhagen, che nel 2005 ha messo a punto il protocollo per l’eutanasia neonatale, Paolo Flores d’Arcais, Chiara Rapaccini, Mina Welby, Carlo Troilo e Francesco Lizzani.

 

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