Guarda il caso

Ricordo, anni fa, stavo sorbendo un cappuccino, chiaro come piace a me, che mia moglie mi aveva appena portato. Lo aveva poggiato sul solo quadratino del mio tavolo rimasto libero dai giornali, i foglietti di appunti, la tastiera del pc, ecc. Io frugavo tra le cartacce provando di liberarmi di quelle non più utili. Mi destreggiai malamente, con il gomito colpisco la tazzina che si rovescia, il cappuccino si spande sul piano del tavolo sporcando e rovinando appunti e ritagli. Un caso fortuito, del tutto banale. Ma mia moglie si arrabbiò parecchio, mi diede anche un buffetto. Forse per questo oggi mi torna il ricordo di quell'insignificante episodio: la memoria si accende per vie tutte sue.
Sì, si era-trattato di un evento del tutto casuale. Va bene: ma che significa "caso"? Noi diciamo anche "si dà il caso che...". "Si dà" - "esiste" - il caso? L'espressione non mi convince. Credo che i termini "caso" ed "esistere" non possano stare assieme: esistere significa qualcosa di persistente c'è una bella espressione, non mia, secondo la quale "la durata è la forma delle cose" - e il caso è assolutamente volatile.
Imprevedibile. E nell'universo compatto, come necessaria conseguenza della creazione intelligente di Dio - non si dà, non è concepibile un "vuoto" in cui possa inserirsi il caso. Per il credente, o per un certo numero di credenti, la provvidenza, la prescienza divina interviene su ogni singolo momento: governa la catena naturale attraverso ferree leggi che essa stessa ha stabilito ("natura non facit saltus").
Del caso, si dovrebbe poter tranquillamente dire che non esiste: una sua esistenza, una sua presenza che interrompe e lacera il fluire delle cose come predisposto (ab aeterno) da Dio dovrebbe essere considerata un'offesa a Dio stesso. Eppure, il "caso" fa paura.
Una paura non solo teologica, ma istintiva, irrazionale. L'idea che qualcosa sia nata, accaduta, per caso, al di fuori dell'ordine naturale delle cose, incute una sottile angoscia. Quel che diciamo accade per caso è sempre un incidente, un evento negativo. Di rado lo si avverte come fatto in positivo. Tutto questo lo sperimentiamo quotidianamente: il vaso che cade in testa al passante con ritmi alla Stanlio e Ollio, l'auto che sbuca all'improvviso e travolge il pur cauto passante, il colpo partito dalla pistola lasciata sbadatamente per casa, chi non conosce qualche frammento di una fenomenologia infinita, ossessiva? Contro il caso si fanno scongiuri, scaramanzie, per la paura del caso (sospettato come secondo nome del malocchio) nasce forse il cornetto rosso napoletano, il gesto delle corna, ecc.
Nel timore del caso l'uomo torna il primitivo essere delle savane africane, che si sa esposto a mille imprevedibili pericoli. La sicurezza portata dalla civiltà non è stata sufficiente, in lunghissimi secoli, a scacciare l'atavica paura, il nostro immaginario è sempre immerso in uno sfondo di possibilità paurose. Cerchiamo, attraverso oroscopi, consigli sanitari sulla salute, una attenzione spasmodica nell'affrontare la quotidianità ecc., di esorcizzare la paura dell'evento che potrebbe, letteralmente, cascarci addosso ad ogni momento: c'è chi non passerebbe mai sotto una scala a pioli o a libretto: porta sfortuna, chissà cosa potrebbe accadermi: un caso, appunto, da evitare.
Quel che ci fa orrore
Questa paura del caso ha serie ramificazioni teologiche. L'idea che il mondo possa essere nato "per caso", che l'uomo sia il frutto di una evoluzione cieca, rotolante dinanzi a sé nel mare magnum del caso ci fa orrore. È impossibile, si obietta. Nei secoli, si sono portate infinite prove per dimostrare questa impossibilità. Sant'Anselmo le ha codificate magistralmente. Non sembra che abbiano avuto un grande impatto e che abbiano funzionato allo scopo desiderato, perché nessuna di esse è stata così convincente da rassicurarci. Proprio stamani, al baretto sotto casa, un extracomunitario si arrabattava attorno alle schedine del "gratta e vinci". Affidava al caso sé e il suo futuro. Non vinse, il suo volto mostrò disillusione. Né la considerazione sulla bellezza insita nel mondo, una bellezza che - si dice - non può non avere avuto alle sue origini una mente suprema dotata persino di sensibilità artistica, è valsa a rendere più gioiosa la nostra permanenza nel mondo, in questo mondo che è piuttosto, anche per il credente, una "valle di lacrime" percorsa da eventi governati (ma si può usare questo termine?) appunto, dal caso. Non è un caso (e dàlli) che stiamo sempre lì a invocare le beatitudini della vita eterna, che ci metta al sicuro dagli imprevedibili eventi del caso.
Neppure l'universo democriteo può, nella logica stringente degli Scolastici, essere abbandonato al caso. Gli atomi del grande presocratico danno origine, con il loro scontrarsi, all'universo; possono farlo perché si' avvalgono del "clinamen", la traiettoria diagonale che li caratterizza. Per caso? Macché: Sant'Anselmo avrebbe obiettato che l'utile "clinamen" è anche esso un dono di Dio, della sua preveggenza, scienza e sapienza.
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