La Grande menzogna di Bush e la verità di Pannella

Recentemente Europa ha pubblicato un interessante articolo dello storico Franco Cardini, “La fabbrica della guerra”; in particolare si parla della guerra voluta Bush e da Blair all’Iraq di Saddam. «Pretesto» per tornare a una questione che molti vorrebbero morta e sepolta è la pubblicazione di It worked for me. In life and leadership, autobiografia dell’allora segretario di stato Colin Powell. In questo libro Powell dichiara che Bush decise l’aggressione da solo, e confessa di aver prestato la sua credibilità di “buon soldato” per rendersene complice. È un tassello importante, quello che Cardini offre alla nostra attenzione. L’ennesima “tessera” di un mosaico che faticosamente si cerca di comporre: “Il mosaico della Grande menzogna”. Bush, che per giustificare l’intervento militare contro Saddam ha evocato armi di distruzione di massa che nessuno ha mai trovato, e legami con al Qaeda mai documentati. Ma c’è altro, di più grave: la deliberata operazione di sabotaggio dell’iniziativa che avrebbe scongiurato la guerra, risparmiato la vita di migliaia di persone; e liberato l’Iraq dalla dittatura di Saddam.
Certo, inutile piangere sul latte versato; ma non foss’altro che per la storia, è importante serbare memoria di quello che è stato. È il 19 gennaio 2003 quando Pannella dà il via alla campagna “Esilio per Saddam”, che conquista il formale impegno del parlamento e del governo italiano, l’adesione di gruppi di sostegno e personalità di 171 paesi.
Il 5 febbraio si svolge al Consiglio di sicurezza dell’Onu il ministro degli esteri francese De Villepin a nome del suo paese propone di inviare centinaia di osservatori internazionali in Iraq. L’iniziativa si contrappone alla Coalition of the willing promossa dagli americani. A questo punto comincia il fuoco di sbarramento contro la proposta “Esilio per Saddam”.
L’8 febbraio Berlusconi invia un memorandum a Gheddafi: si configurano i possibili scenari di intesa con Saddam; Berlusconi riferisce a Bush che la risposta di Saddam, avuta attraverso Gheddafi, è positiva. Il 22 febbraio Bush riceve nel suo ranch a Crawford in Texas il primo ministro spagnolo Aznar. Partecipano, in collegamento telefonico, anche Blair e Berlusconi. Per Bush muovere guerra a Saddam è un imperativo. Aznar suggerisce prudenza. Il presidente americano rivela quel che gli ha in precedenza comunicato Berlusconi (la risposta positiva di Saddam a proposito dell’esilio), ma al tempo stesso è tassativo: no a qualsiasi accordo; giudica la condizione di Saddam disperata: potrebbe essere ucciso, dice, «entro due mesi». Blair chiede che l’inizio delle ostilità sia rimandato di qualche giorno. Bush è irremovibile: vuole la guerra.
Pannella mette in guardia dal «dare fiducia» a Gheddafi come mediatore. Se ne ha conferma in occasione del summit di Sharm el-Sheik, quando Gheddafi riesce a impedire che la Lega Araba si convochi per dibattere la proposta di esilio avanzata da Emirati Arabi Uniti, Bahraein, Kuwait, Qatar, Arabia Saudita, Giordania. Il dittatore iracheno chiede solo che la proposta gli giunga ufficialmente dalla Lega Araba e «non dagli americani». Gli eventi a questo punto subiscono una brusca accelerazione. Il 6 marzo fonti ufficiali arabe riferiscono che «Egitto, Libano, Tunisia, Siria e Lega Araba chiederanno a Saddam di lasciare il paese». La proposta sta per essere formalizzata, ma entra in campo Gheddafi, che ne riferisce a Berlusconi, che a sua volta trasmette a Bush. Gheddafi offende pesantemente i sauditi, fa saltare la conferenza. La televisione araba che trasmette in diretta la seduta, interrompe le trasmissioni, ma ci si “dimentica” di staccare l’audio. I giornalisti possono sentire ogni cosa. Il 18 marzo Bush pone un ultimatum: Saddam ha 48 ore per lasciare il paese. Di fatto ingiunge al dittatore iracheno di esporsi a quella situazione “descritta” il 22 febbraio a Crafword: Saddam non ha garanzie di avere salva la vita. Bush vuole la guerra, e guerra è.
Forse il presidente americano ha sognato di emulare il suo grande idolo Winston Churchill, che il 12 novembre 1939 tenne un famoso discorso: «It is indeed a solemn moment when I speak to you...». Se è così, obiettivo mancato. L’esilio poteva essere la vera alternativa all’attacco militare.
Arabia Saudita, Egitto e Turchia avevano studiato dei “piani” in proposito, e si stava realizzando senza spargimento di sangue l’obiettivo di ottenere la liberazione dell’Iraq con la nonviolenza anziché con la guerra. Pannella sostiene che Bush ha deliberatamente voluto impedire tutto questo, accelerando i tempi del conflitto. Complici di questa manovra Blair, Berlusconi e Ghedddafi.
C’era un’alternativa alla guerra, e si poteva al tempo stesso liberare l’Iraq di Saddam. Perché non la si è perseguita? Pannella parla di sabotaggio, e ne fornisce la documentazione. Quando verrà data la possibilità di farla conoscere e se ne potrà discutere?
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