Il governo di buona volontà

“Andremo avanti, nessuno vuole andare a votare, anche se noi siamo quelli che hanno meno da perdere. Troveranno un nome che in qualche modo può star bene anche a noi. Non si farà il conflitto di interessi, nemmeno la riforma della giustizia. Però la riduzione del numero dei parlamentari, l’abolizione del numero delle province e la legge elettorale le possiamo fare”. Nel cortile di Montecitorio, una pattuglia di grillini ragiona sul futuro. E immaginano il piano C. È quello che Pippo Civati, deputato Pd, ieri ha descritto sul suo blog come l’unico scenario possibile se dovesse fallire il piano A (quello con Bersani premier, per intenderci): “Un governo composto da tutti i nomi autorevoli e pop che sarà in grado di mobilitare, nomi che il M5S non veda con fastidio, per convincerli a dare la fiducia. Un governo ‘All Star’ per convincere le Cinque Stelle”.
Al di là dei capannelli dei fumatori di palazzo, qualche spiraglio di benedizione arriva anche da uno dei due nuovi consulenti per la comunicazione del Movimento, fedelissimo di Grillo e Casaleggio: Claudio Messora ribadisce che Bersani non avrà mai la fiducia dei Cinque Stelle, “nemmeno se cammina di notte sui ceci”, ma quando su Radio24 gli chiedono che ne sarebbe di un governo fatto da grandi personalità, risponde: “Vedremo, lo decideranno deputati e senatori”. E qui verrà il bello. È già successo con il voto su Grasso alla presidenza del Senato: di fronte alla scelta per “il meno peggio”, il gruppo si è spaccato. Vito Crimi, capo dei senatori grillini, continua a dire che “il gruppo è forte e compatto”, che la questione è archiviata. Ma alla Camera, dove ci sono i più giovani e i più talebani, la ferita non si è per nulla rimarginata. Oggi, deputati e senatori torneranno a riunirsi: l’ennesimo conclave per discutere del primo tradimento. C’è chi proporrà di votare: Giarrusso e gli altri 7 colpevoli di non aver rispettato il volere della maggioranza sono ancora dei nostri? L’esito - semmai si dovesse arrivare al voto - sembra scontato: “Non credo ci saranno espulsioni - dice Messora - perché siamo agli inizi, può capitare, sono ragazzi”. Ecco, siamo agli inizi: ma se tra tre giorni, dopo le consultazioni, Napolitano dovesse affidare l’incarico a qualcuno di quelli che “non ci ha portato allo sfascio” che succederà? Tra i nomi che circolano c’è quello di Emma Bonino. Paladina della lotta alla partitocrazia, fede assoluta nel referendum, pioniera della trasparenza e dell’abolizione dei rimborsi elettorali. Per ora, sono solo ipotesi. Mentre aspetta le proposte del Colle (domani alle 9:30), il Movimento vuole entrare “nella stanza dei bottoni”. Ieri, la capogruppo Lombardi ha chiamato a raccolta i giornalisti (ma non ha accettato domande) per ribadire la richiesta del gruppo: vogliono un questore, l’unico posto da cui poter usare l’apriscatole e “rendicontare anche le caramelle”. Le candidate sono Laura Castelli alla Camera e Laura Bottici al Senato. I Cinque Stelle lo hanno ribadito nella prima conferenza dei capigruppo, ieri sera. Oggi avrebbero dovuto tornare a dirlo al Pd Luigi Zanda in un incontro che, secondo gli accordi, sarebbe stato trasmesso in diretta streaming. Ma il capogruppo dei democratici, a Otto e mezzo ha annunciato che i grillini avrebbero “cambiato idea”.
Il punto è che senza un ragionamento più ampio (dal governo in giù) il Pd non potrà mai concedere ai Cinque Stelle un posto da questore: l’arroccamento dei grillini, dice Bersani, è una “curiosa posizione”, ma aggiunge “noi siamo uomini di buona volontà”. Le reazioni sono diverse: i “talebani” festeggiano, dicono che senza questore potranno denunciare la casta che li tiene fuori dai giochi. Altri cominciano a dubitare sul fatto che gli elettori capiscano quando comincia la partita. Lo ripetono i siciliani (il palermitano Riccardo Nuti, tra tre mesi sarà il prossimo capogruppo alla Camera) consapevoli che l’esperienza con Crocetta funziona solo perché si occupano un paio di posti chiave. Lo sa bene Federico Pizzarotti, sindaco di Parma, che ieri, di passaggio a Roma, è venuto a conoscere gli eletti in Parlamento. Sorride quando gli domandano se è venuto a dare “lezioni di governo”. Non è compito suo. Oggi, arriva Grillo.
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