Giustizia: è bufera nell’Arma sul caso del tunisino 36enne morto dopo l’arresto a Sanremo

Carabiniere invia una foto che ritrae Bohli Kaies riverso a terra in caserma: “Ecco come lo ha massacrato”. Sotto accusa, da parte di un collega, uno dei carabinieri che aveva effettuato il concitato arresto in quel di Riva Ligure.
La vicenda della morte del tunisino Bohli Kaies sta assumendo toni a dir poco allarmanti per gli equilibri interni all’arma dei Carabinieri ligure. Il nordafricano, come noto, aveva perso la vita circa due ore dopo essere stato arrestato a Riva Ligure, sorpreso a spacciare eroina vicino ad un supermercato. Un arresto concitato, una colluttazione con i Carabinieri e, infine, la morte. Sospetta. L’autopsia ha confermato la presenza di ecchimosi sul suo volto e, sul corpo, segni dell’acceso scontro con i militari. Ma, come aveva detto lo stesso procuratore Roberto Cavallone, quella di Kaies rimane “una morte inspiegabile”.
Ora, però, spunta un nuovo elemento che getta nuova benzina sul fuoco. Qualche giorno fa, da una casella mail anonima, è partito un messaggio di posta con allegata una fotografia che ritrae Kaies riverso a terra in caserma a Santo Stefano al Mare. Il testo recita: “Ecco come lo ha massacrato”. Chi? Chi lo ha massacrato? E perchè? Come?
La fotografia è stata scattata da un carabiniere, evidentemente presente al momento dell’arrivo di Kaies in caserma. Nell’immagine si vede il tunisino sdraiato a terra, privo di sensi. Così lo hanno trovato anche i soccorritori del 118 intervenuti su richiesta della caserma stessa.
La denuncia del militare, quindi, sarebbe la conferma che Kaies è stato pestato prima di giungere in caserma? Che sia stato un arresto concitato è cosa nota. L’uomo, infatti, era conosciuto come una “testa calda” e, come ha confermato lo stesso procuratore Cavallone, ha opposto resistenza al fermo, tentando la fuga e cadendo da un guard rail nel tentativo di scappare. Ecco spiegate le ecchimosi presenti sul suo corpo. Ma, forse, c’è qualcosa di più. Qualcosa che quel carabiniere ha visto e ha voluto testimoniare con una mail e una fotografia.
La vicenda del “corvo” interno all’arma si inserisce in un quadro ben poco rassicurante, tra una busta con proiettili indirizzata alla caserma di Santo Stefano al Mare e intercettata a Genova (all’interno era scritto il messaggio “Questi sono per chi ha ucciso Kaies, la pagherà”) e il conseguente trasferimento ad altra caserma del carabiniere al quale era indirizzata la missiva.
E poi il trasferimento improvviso del comandante provinciale Colonnello Alberto Minati.
Un quadro allarmante che, da giorni, sta causando più di un mal di pancia negli uffici dell’arma.
Procuratore: nessuna foto della vittima in caserma (www.riviera24.it)
Il procuratore interviene sulla notizia della presunta esistenza di una foto postata da un carabiniere su Facebook, del tunisino morto in caserma a S. Stefano. Lo stesso carabiniere avrebbe scritto, come didascalia: “ecco come hanno massacrato il tunisino”.
“Non siamo al corrente dell’esistenza di alcuna fotografia, non c’è alcuna inchiesta aperta e resta il fatto che se questa foto davvero esiste, chi ce l’ha è pregato di tirarla fuori”.
Così il procuratore di Sanremo, Roberto Cavallone interviene sulla notizia pubblicata oggi da un quotidiano che parla dell’esistenza di una fotografia pubblicata su Facebook, e poi sparita dalla circolazione, che ritrarrebbe lo spacciatore tunisino Bohli Kayes (morto successivamente all’arresto, il 6 giugno scorso a Riva Ligure) ormai esanime nella caserma dei carabinieri di Santo Stefano al mare, dov’era stato portato. Fotografia che avrebbe avuto come didascalia la scritta “Ecco come hanno massacrato il tunisino”.
Al momento, dunque, questa fotografia non esiste e la vicenda rimane soltanto il frutto di un sentito dire. Di qualcuno che afferma che un non meglio specificato carabiniere avrebbe postato la foto sul proprio profilo Facebook (ma che poi l’avrebbe cancellata), accusando il collega (che procedette all’arresto) di aver massacrato il tunisino, che allo stato degli atti non sarebbe stato ammazzato ma sarebbe morto per cause tuttora in fase di accertamento da parte della Procura di Sanremo, che all’epoca aprì un fascicolo con la dicitura “atti non costituenti reato”. La verità sulla morte di Bohli è contenuta nell’autopsia, effettuata dalla dottoressa Simona Del Vecchio, il cui esito degli esami tossicologici e istologici, assieme al referto, dovrebbe pervenire entro il prossimo 7 agosto (sessanta giorni di tempo dall’esame autoptico).
Nel parlare con i giornalisti, oggi, il procuratore di Sanremo ha confermato di aver esaminato il corpo della vittima subito dopo il decesso e di non aver riscontrato segni di violenza tali da essere compatibili con l’omicidio. Si parla soltanto della presenza di lievi escoriazioni agli arti inferiori e superiori e di un’ecchimosi di circa un centimetro e mezzo sullo zigomo, compatibili con la colluttazione con i carabinieri e con la caduta per strada, durante la fuga, da un guard rail che tentò di scavalcare la vittima.
Per quanto riguarda le due lettere anonime intercettate al centro smistamento postale di Genova, indirizzate al carabiniere che procedette all’arresto di Kayes e all’informatore di quest’ultimo, il procuratore Cavallone fa sapere che gli atti non sono stati ancora trasmessi dalla Procura di Genova a quella di Sanremo e che, quindi, rimane tutto fermo.
Pusher morto dopo l’arresto, caccia al cellulare della foto (Secolo XIX)
L’inchiesta è saldamente in mano al procuratore capo di Genova Michele Di Lecce. È un caso scottante, dalle implicazioni ancora tutte da sondare quello delle minacce e dei veleni seguiti alla morte sospetta del pusher tunisino, Kaies Bohli, 36 anni, stroncato da un malore poco tempo dopo il suo arresto, la sera dello scorso 5 di giugno.
Mentre è a Sanremo che si cerca di dare una spiegazione a quella tragedia, a partire dall’esito dell’autopsia ancora da acquisire agli atti, è nel capoluogo ligure che sarebbe confluita l’inchiesta sul “corvo” e sulla foto misteriosa diffusa da un ignoto nei giorni successivi al fatto. Si tratta dell’immagine, al centro del caso rivelato ieri dal Secolo XIX, che ritrae il pusher disteso sul pavimento della caserma di Riva Ligure, con una giacca dell’Arma ripiegata a cuscino. E che è stata spedita a un elenco top secret di destinatari.
Lo spacciatore è ferito ma ancora in vita. Ma il “corvo” che sta dietro l’obiettivo aggiunge una didascalia a commento alla foto: “Così l’ha massacrato”. Frase ambivalente sulla cui interpretazione verte una parte non secondaria dell’inchiesta. Inchiesta che si sta concentrando in queste ore sulle ricerche dell’autore dello scatto fotografico.
Primo. L’immagine è stata ripresa da un telefonino. Ed è questo il punto di partenza degli accertamenti. Nelle ore successive al ritrovamento dell’istantanea, sono stati disposti accertamenti sui cellulari di servizio, ma a quanto pare le ricerche hanno dato esito negativo. Ma gli inquirenti non si sono fermati qui.
E avrebbero acquisito, o sarebbero in attesa di ricevere, i tabulati dei numeri compresi nelle celle a cui fa riferimento la caserma di Riva Ligure. Come è noto gli investigatori, grazie alla tecnologia della telefonia mobile, sono in grado di ottenere l’elenco dei numeri di tutte le schede sim presenti insieme ai rispettivi apparecchi in una data area.
Questo sulla base degli impulsi che i cellulari inviano durante gli spostamenti ai veri ripetitori presenti sul territorio. Ed è proprio a partire da queste informazioni che si sta cercando di dare un nome all’autore della fotografia. Nella caserma, secondo quanto appurato dai primi accertamenti, erano presenti solo alcuni carabinieri e i militi di una pubblica assistenza, chiamati in aiuto del detenuto ferito.
Dal momento che i soccorritori sono risultati estranei alla questione - foto, le ricerche si stanno concentrando su appartenenti all’Arma. Di più. Le indagini sul “corvo” sono destinate a intrecciarsi con quelle relative ai tre proiettili che sono stati indirizzati a uno dei carabinieri autori del movimentato arresto (subito trasferito per ragioni di sicurezza), in una lettera minatoria intercettata dagli investigatori al centro di smistamento della posta di Genova Brignole.
Una delle ipotesi sul tavolo del procuratore capo Di Lecce è che a spedire la missiva “armata” possa essere stata la stessa persona che ha scattato la foto al ferito. E che il tutto rientri in un regolamento di conti “avvelenato” tra colleghi. Al momento si tratta, è bene precisarlo, di una mera ipotesi investigativa che non esclude altre possibili piste e non esaurisce di certo gli accertamenti in corso.
Il dato indubbio è che la questione viene seguita con la massima attenzione dalle due Procure di Genova e Sanremo. Tra le cause della morte del pusher sarebbero state escluse le lesioni trovate sul corpo del tunisino. Ecchimosi compatibili con la colluttazione ma non effetto di colpi mortali.
Morì dopo l’arresto, l’ora del “corvo” (Secolo XIX)
Una morte sospetta, una foto agghiacciante e un “corvo” in caserma. Tutto nasce lo scorso 5 giugno, a Riva Ligure. Il caso è quello di Kaies Bohli, 36 anni, pregiudicato tunisino, deceduto all’ospedale di Sanremo subito dopo l’arresto. Sono le 19.05, una telefonata anonima al 112 segnala uno spacciatore all’opera, i carabinieri si precipitano nel piazzale del supermercato Lidl di Riva Ligure, Bohli - vecchia conoscenza delle forze dell’ordine - si dà alla fuga mentre fa scivolare a terra i cento grammi di eroina che ha in tasca. Poi il guard rail che non riesce a saltare, la caduta, il tentativo di sottrarsi all’arresto che sfocia in una colluttazione. I militari lo bloccano e lo caricano sull’auto di servizio.
La caserma è ad appena cinquecento metri, ma durante il breve tragitto Kaies accusa un malore e perde conoscenza. Un’ora e mezza più tardi, il tunisino muore al pronto soccorso. L’autopsia scarta una lunga serie di ipotesi, ma non stabilisce le cause del decesso. Due settimane più tardi all’ufficio smistamento delle Poste di Genova viene intercettata una busta con tre proiettili e un biglietto: “Questi sono per chi ha ucciso Kaies, la pagherà”.
La storia è questa ed è una brutta rogna. Ma a distanza di poco più di un mese, si aggiunge un nuovo, inquietante elemento che ha indotto la Procura di Sanremo ad aprire un altro fronte investigativo. Quello dedicato al “corvo”. Ovvero il carabiniere, ancora in via di identificazione, che in quella drammatica serata del 5 giugno, nell’atrio della caserma, mentre i colleghi chiedevano l’intervento di un’ambulanza, ha scattato almeno una foto con un cellulare. L’immagine cui stanno ora lavorando gli inquirenti, è cruda: come può esserlo la scena di un giovane vittima di una grave insufficienza respiratoria. Sotto la testa una giacca ripiegata che gli fa da cuscino. Sullo zigomo destro un’ecchimosi, diverse escoriazioni su entrambi gli avambracci. “Segni compatibili con la dinamica dell’arresto”, scriverà due ore dopo nel suo rapporto il medico legale. Una foto per documentare le condizioni del tunisino?
Un’immagine da allegare alla relazione di servizio in attesa, nel caso, di trasmetterla alla polizia scientifica? No. Quello scatto resta senza un autore. Ma l’autore ha fatto di peggio: servendosi di un anonimo account di posta elettronica, ha inviato l’immagine a una serie di indirizzi (l’elenco è coperto dal segreto istruttorio) corredata da un commento: “Ecco come ha massacrato il tunisino”, chiamando in causa uno dei due militari che avevano operato l’arresto.
A quel punto, la vicenda dei proiettili e quella della foto, hanno indotto i vertici dell’Arma a procedere all’immediato trasferimento del carabiniere: ragioni di sicurezza, è scritto nella motivazione.
Il procuratore Roberto Cavallone, già alle prese con una inchiesta tanto delicata quanto spinosa (anche se non vi è conferma della presunta iscrizione dei due militari nel registro degli indagati), adotta la linea del silenzio: “Nel merito, non ho nulla da dire”. Imbarazzo e tensione, invece, nell’Arma. Chi sapeva della foto? E quanto tempo è trascorso prima che ne venisse informata la Procura?
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