Il giorno che può cambiare la politica

Dalla Rassegna stampa

Oggi la nostra politica conoscerà uno di quei passaggi destinati a restare nei manuali di storia. O Berlusconi ottiene la caduta del governo contro l’opinione, si può dire, del mondo intero: l’Europa, gli Stati Uniti, i mercati, l’"Osservatore Romano". E in tal caso le conseguenze saranno disastrose per il paese. Ovvero Letta si conferma grazie alla scissione del Pdl.

È l’apporto del gruppo "ministeriale" guidato da Alfano che può cambiare il corso degli eventi. È una scissione vera e propria, per di più capeggiata dal segretario del Pdl, più volte mortificato dal capo in questo suo ruolo e che pochi vedevano capace di un atto di ribellione di tale portata. Invece AIfano ha avuto coraggio e si è caricato sulle spalle, lui vicepremier, la responsabilità della linea filo-governativa ed europeista, la linea di Napolitano e Letta contro la quale Berlusconi è sceso in guerra. I suoi nemici (e ne avrà tanti d’ora in poi) gli hanno già preconizzato l’epilogo di Gianfranco Fini, ma la storia - nonostante il luogo comune - non si ripete quasi mai e comunque lo scenario è mutato rispetto a uno o due anni fa. Il colpo di coda di Berlusconi non assomiglia in nulla alle svolte impetuose del passato, tipo il "discorso del predellino". È piuttosto il riflesso difensivo di un uomo che non crede ai suoi occhi, alla rivolta dei seguaci. Un uomo che ormai sembra un po’ l’ombra di se stesso, teso a evitare la disfatta di un personale 25 luglio che peraltro è già nei fatti. Sempre con l’ansia di sfuggire alla morsa della magistratura, con il timore crescente del possibile arresto, come conseguenza di una delle inchieste ancora aperte. Un dramma umano all’interno del dramma politico. Ma anche il segno del tramonto di un uomo a cui persino gli avversari hanno riconosciuto negli anni una formidabile personalità unita a una non comune lucidità politica. Ora tutto si riduce a questo penoso braccio di ferro, condito da critiche al Quirinale, attacchi (i soliti) alla magistratura, polemiche con il premier. E soprattutto con la volontà di punire i "traditori" ai quali vorrebbe somministrare, se potesse, la stessa medicina che i giudici di Verona fecero assaggiare a Ciano e agli altri nel ‘44.

Ora il problema dei dissidenti è uno solo: garantire a Letta un certo numero di voti al Senato, almeno fra venti e venticinque, meglio trenta. Più sono e meglio è per Letta. Vuol dire garantire al governo una discreta coesione e un cammino più sicuro. Almeno per tutto il 2014, come auspica Napolitano. Poi verrà la seconda parte del problema. Costruire un nuovo centrodestra moderato e ispirato al Partito popolare europeo. Ossia la cornice che non accoglierà mai la berlusconiana Forza Italia. Due destre sono ormai in cammino, sulle ceneri del ventennio berlusconiano. Ma prima di tutto occorre che oggi il voto di fiducia dia ragione ad Alfano, Lupi, Quagliariello, Cicchitto e agli altri. Se questo non accadrà, il progetto morirà in fasce e il prezzo sarà pagato dal paese. Se viceversa, come è probabile, Letta avrà la fiducia, il nuovo centrodestra avrà tempo per definirsi e costruirsi un’identità. E ad essere relegato in una posizione marginale sarà Berlusconi, prigioniero di se stesso e della sua convinzione che solo attraverso una estrema svolta radicale sia possibile sconfiggere la magistratura e i complotti dell’Europa di cui si ritiene vittima.

Per vent’anni le due anime del centrodestra sono state tenute insieme da Berlusconi. Da oggi tutto cambia. Una delle due destre scivola nel massimalismo populista. L’altra ha l’ambizione di andare a occupare una vasta area del centro moderato. In passato l’operazione non è riuscita granché, vedi il caso di Monti. Ma domani, anzi oggi, è un altro giorno.

 

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