Gandhi pacifista Radicali incivili

Dalla Rassegna stampa

L'articolo è stato rubricato come "Il dibattito delle idee" su 'La Lettura", il supplemento culturale del "Corriere della Sera". L'autore è autorevole: l'ambasciatore Sergio Romano, editorialista del quotidiano di via Solferino, commentatore ed editorialista e titolare della rubrica di colloqui con il lettore che fu di Indro Montanelli. Il sommario dà già un idea di quello che si leggerà: 'Il digiuno di Gandhi era l'arma del debole contro il potente. Ma gli scioperi della fame dei radicali non sono democratici". L'articolo è piuttosto lungo, e il rischio è di sfregiare il ragionamento di Romano, nella sintesi che se ne offre. Si parte dalla premessa che sempre più spesso singoli o gruppi di persone che rivendicano diritti ritenuti calpestati scelgono di manifestare in modo plateale, e comunque improntate a una pratica pacifica; si rammentano gli scioperi della fame suicidi dei militanti dell'IRA detenuti nelle prigioni britanniche del 1981; si arriva ai digiuni di Gandhi, di Marco Pannella e dei radicali. Si individua e descrive con sostanziale esattezza in cosa consiste la pratica della disobbedienza civile: il violare deliberatamente e coscientemente una legge ritenuta ingiusta, disposti a pagarne le conseguenze perché in questo modo esplodono le contraddizioni di chi quella legge ingiusta ha voluto e difende; e qui cominciano i problemi.

“A me sembra che tra la disobbedienza civile e i digiuni occorra fare una distinzione", scrive Romano.

“Il rifiuto di obbedire a una legge può essere, in termini strettamente legali, un reato ma il cittadino che disobbedisce e che è pronto a pagare il prezzo della sua disobbedienza di fronte a un giudice, non è un criminale".

Fino a qui ci siamo. "Lo sciopero della fame e della sete", obietta Romano, "invece è una forma di lotta in cui il combattente usa come arma estrema il proprio corpo ed è pronto a sacrificarlo alla sua causa. Credo che i radicali, quando si richiamano al grande esempio di Gandhi, commettano un errore. Il Mahatma sapeva che da una guerra convenzionale contro l'impero britannico i suoi connazionali sarebbero usciti perdenti. Non avevano le armi dei loro nemici, non erano in grado di mobilitare e organizzare una parte importante della popolazione ed erano irrimediabilmente votati alla sconfitta. Avevano tuttavia il loro corpo e potevano usarlo".

Per Romano il digiuno dei radicali appare "particolarmente contraddittorio... Sono certo che non vogliano trasformare la politica interna in un campo di battaglia, ma così accade, di fatto, quando un uomo politico minaccia di usare in proprio corpo come un'arma letale e si dichiara pronto a morire pur di raggiungere il suo scopo. Se la politica democratica è lotta senza spargimento di sangue, questo spiace dirlo, non è più democrazia. Naturalmente lo sciopero della fame non ha nulla a che vedere con il terrorismo suicida, perché non minaccia altre vite. Ma anche nel digiuno vi è potenzialmente il martire, vale a dire un personaggio estraneo alla logica dei conflitti democratici". Il Partito Radicale, il più laico dei movimenti politici italiani, dice Romano, "paradossalmente si è servito degli handicap fisici di alcuni fra i suoi più tenaci militanti per creare il "martire", vale a dire un personaggio che appartiene alle guerre di religione piuttosto che alle battaglie civili".

E ancora: "Nella stragrande maggioranza dei casi i digiunatori, naturalmente non desiderano la morte. Vogliono vivere, combattere, e sperano di vincere costringendo l'avversario a deporre le armi. Ma questo, spiace dirlo, è un ricatto. So che la parola non parrò giusta ai radicali e che molti di essi replicherebbero all'accusa puntando il dito sulla chiarezza e sulla trasparenza con cui effettivamente conducono le loro battaglie liberali. Ma dovrebbero chiedersi quale sia stata, nei casi in cui hanno avuto successo, la ragione delle loro vittorie".

Cominciamo sgomberando il campo dall'accusa di esserci serviti degli handicap fisici di alcuni "tra i più tenaci militanti per creare il martire". Il riferimento è a due compagni che non ci sono più: Luca Coscioni e Piergiorgio Welby. L'errore commesso da Romano è clamoroso: non sono stati i radicali a servirsi di Coscioni prima, di Welby poi; è accaduto esattamente il contrario: sono stati Luca e Piergiorgio a individuare nei radicali lo strumento della loro battaglia politica, e sono riusciti a letteralmente imporre al partito la battaglia per la libertà di ricerca scientifica, per la dignità della vita, l'autodeterminazione del malato a decidere se e quando interrompere le cure. Certo Romano non intendeva questo, ma non gli sfuggirà, rileggendosi, che in quelle poche righe l'oltraggio e l'offesa inferta a Luca e a Piergiorgio: trattati alla stregua di persone senza personalità, che vengono manipolate e utilizzate a fini politici.

Quanto alla riflessione sui successi radicali: la spiegazione è semplice. Lo si deve al fatto di essere riuscito a "sorprendere" l'avversario, il Regime; di esser riusciti a sfruttarne contraddizioni, a penetrare nei varchi che aveva incautamente lasciato aperti, e che lestamente ha rinchiuso. Nel "libro giallo" tutto ciò è descritto, raccontato. Forse potrebbe costituire utile lettura, per Romano.

Nel corso della conversazione domenicale a "Radio Radicale" Pannella ha commentato - anche qui il rischio di fare sfregiare il suo pensiero è grande - sostenendo che in fin dei conti Romano con il suo intervento costituisce la dimostrazione più evidente che cinquant'anni e passa di regime non passano invano, e che quello che ha scritto è il frutto di una non conoscenza che non è del solo Romano; e aggiunto di scorgere nel ragionare dell'ambasciatore un amicale rammarico che s'indovina in alcuni "incisi". Laddove, per esempio, Romano scrive: "spiace dirlo", e in altri simili passaggi; e riconoscendogli comunque una sostanziale onestà nell'esporre quelli che - qui spiace a noi dirlo - sono tuttavia luoghi comuni. Perché certo, la cinquantennale disinformazione (o meglio: mancata informazione) tutto inquina e ha inquinato, e mai come oggi dove siamo "bombardati" da una quantità di "notizie" e disponiamo di pochissimo "sapere"; ma Romano come strumento di conoscenza e di "sapere" a disposizione non ha solo il giornale di cui è autorevole collaboratore. Dispone di tutti gli strumenti per poter evitare di scrivere quello che invece ha scritto. E fa pensare che Romano non colga la caratteristica e l'essenza del dire e del fare, dell'agire radicale da sempre: che ha sempre cura di sottolineare come la sua non sia una protesta, piuttosto una proposta; e che come obiettivo si pone innanzitutto il rispetto della legge che non è la sua, ma dell'avversario, del Potere; che dopo averla fatta, la viola, in modo clamoroso e sistematico. È tutto qui il senso della battaglia e dell'iniziativa radicale.

E quando il nonviolento si trova dinanzi il Potere che viola la sua stessa legge, opera e agisce giocando la carta della persuasione, del "dialogo".

Ma il Potere da tempo ha compreso che la prima cosa che si deve garantire è che l'opinione pubblica, il .'popolo" non sappia, non sia messo nella condizione di conoscere. È qui l'essenza della democrazia: è il Luigi Einaudi delle "Prediche inutili": “Non sappiamo nulla e alle nostre deliberazioni manca il fondamento primo: conoscere. Giova deliberare senza conoscere?". Rischi e pericoli derivanti e frutto di una non conoscenza che già erano stati messi a fuoco in un celebre convegno degli "Amici del Mondo", "Verso il regime?", e si era negli anni Cinquanta. Da allora la situazione si è evoluta, in peggio.

Al pari di Gandhi, anche i radicali di fronte al Potere, al regime, non hanno strumenti, "armi" che non siano quelle del loro corpo; e senza alcun intento martirologico o suicida usano le "armi", gli strumenti della nonviolenza che hanno a disposizione: il digiuno e la disobbedienza civile. Piuttosto Romano dovrebbe interrogarsi e riflettere quali strumenti ha a disposizione un nonviolento nella situazione data di inaccessibilità agli strumenti di comunicazione di massa, alla deliberata e scientifica manipolazione della propria proposta e della stessa immagine; e, per allargare il discorso, Romano e tutti noi dovremmo interrogarci sul fatto che un comportamento violento viene "premiato" perché non c'è giornale o trasmissione televisiva che non se ne occupi; mentre al contrario il comportamento nonviolento viene sistematicamente mortificato. Tutto sarebbe diverso se esistesse la possibilità di farsi conoscere; ma forse anche a Romano ignora gli studi e le elaborazioni del Centro di Ascolto radicale. Forse anche Romano non riflette sul fatto che esiste da sempre un divieto alla partecipazione di Pannella alle trasmissioni di approfondimento politico.

Pannella su questi temi si augura uno o più dibattiti con Romano su "Radio Radicale". Ci si augurerebbe, ma con ben poca speranza, un dibattito anche sul "Corriere della Sera"; una quarantina d'anni fa, ne venne aperto uno, ancor oggi prezioso, proprio sul "Corriere della Sera", da Pier Paolo Pasolini. Ma oggi, probabilmente, lo stesso Pasolini, al pari del celebre dipinto di Edvard Munch, si troverebbe a urlare senza possibilità di emettere suono; come Pannella, come i radicali.

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