La frusta di Veltroni colpisce invano?

Dalla Rassegna stampa

 

Ben azzeccati colpi di frusta schioccano dal pamphlet di Walter Veltroni, "E se domani", (ed. Rizzoli) contro gli errori della sinistra. Citato da Eugenio Scalfari nel suo ultimo editoriale, ampiamente recensito per il nostro giornale da Sebastiano Messina, il libro, purtuttavia, mi sollecita qualche chiosa aggiuntiva.

Le ragioni, però, non si evincono dal libro, ma dal fatto che ogni proposta innovativa avanzata dall’autore sembra destinata a cadere come un piombo nell’acqua. Se uno dei leader più stimati del Pd sostiene che «quella del febbraio 2013 è, in termini quantitativi la più grande sconfitta politica ed elettorale della storia della sinistra negli ultimi cinquant’anni» è mai possibile che una simile denuncia resti confinata nella quotidianità mass-mediatica e non sia raccolta in una animata discussione generale, dagli organismi dirigenti fino alle assemblee di sezione? È possibile che questo partito cambi segretario e linea politica nell’ambito di una querelle tra singoli maggiorenti per decidere ad un tavolo di pochi giocatori se vada meglio Cuperlo o Epifani? Perché se oggi è accettabile un governo con la destra berlusconiana mentre ieri suonava come una bestemmia impronunciabile, tutto questo debba passare senza la minima discussione tra i militanti, che almeno chiarisca il mutamento della situazione? Si chiede, per contro, il nostro Walter: «Forse davanti ai risultati delle elezioni di febbraio 2013, si doveva, proprio da parte del Pd, propone un governo del Presidente, guidato da una personalità indipendente tipo Emma Bonino, che interpretasse il bisogno di cambiamento e si rivolgesse all’intero arco parlamentare senza sperare in mini scissioni altrui sbagliate, improbabili e infatti non accadute».

Che altro aggiungere? C’è un punto, forse il solo, in cui non concordo conl’autore laddove ritorna sulle ragioni che hanno portato al deludente exploit del Pd. «Attorno alla elezione del presidente della Repubblica si è consumata la crisi del sistema e il logoramento di un Pd che ha mostrato di essere molto lontano dall’idea di partito aperto, riformista e non correntizio con cui era nato.... Ma non smetto di credere ostinatamente alla giustezza dell’ ispirazione che Io ha fatto nascere: la necessità di un grande e plurale partito riformista, capace di accogliere anche spinte e posizioni più radicali». Più avanti riconoscerà: «La verità drammatica è che mai nella storia d’Italia il riformismo è stato maggioranza». Eppure questo riconoscimento non suscita una analisi più approfondita. Si accusano i vari "conservatorismi" interni senza confessare che quasi costantemente essi fiorivano dalle componenti di estrema sinistra (vedi la caduta di Prodi ad opera di Rifondazione), né si dà il giusto peso alla impossibilità di compone il pensiero laico, senza inaccettabili rinunce, con gli imperativi della Santa Sede su tutti gli argomenti eticamente sensibili per i riformisti di matrice cattolica. Eppure l’autore seguita a sognare di «dar vita a una grande forza di centro sinistra che contenga al suo interno tutte le culture riformiste». Ma "tutte" le culture riformiste confuse assieme producono una cacofonia, il fiorire di correnti in competizione, manifestazioni solo fittizie di unità.Il fatto è che su questo punto Veltroni schiva la Storia, altrimenti vedrebbe che tutti i riformismi europei, dagli scandinavi ai tedeschi, dagli inglesi ai francesi sono social-democratici; che in Italia fin dalle origini, nel ‘21, ai giorni nostri il disconoscere cher avversione dei comunisti ieri e dei posi comunisti oggi nei confronti del riformismo (anche se l’aggettivo non è più insultante) ha portato a una sequela di sconfitte; che l’attrazione prevalente da Berlinguer in avanti per la sinistra cattolica non ha portato i frutti sperati.

Infine che solo un discorso che riparta dal principio e bonifichi il cammino ingannevole dell’odio antisocialista può tracciare per la sinistra italiana un futuro non destinato a permanenti e parziali autocritiche.

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