Le fragilità dietro la facciata

La fiducia posta dal governo Renzi sul decreto lavoro non è una buona notizia per la maggioranza. Indica che la coesione interna lascia a desiderare, al punto che il presidente del Consiglio deve ricorrere all’arma assoluta: il voto di fiducia, appunto, che da un lato spazza via dal tavolo i distinguo; ma dall’altro rivela le fragilità politiche della coalizione. Si dirà che le cose non sono così drammatiche. Come ha detto il ministro dell’Economia, i ritocchi apportati al provvedimento non sono tali da stravolgerne l’impianto e del resto tutti sono in campagna elettorale, anche il Nuovo centrodestra di Alfano. In altri termini, sta accadendo quello che era facile prevedere.
Nelle prime settimane di governo i centristi erano fin troppo appiattiti sulle posizioni di Renzi e oggi vogliono rimediare. Peraltro il premier ha rivelato un’eccezionale capacità di far propri idee e spunti in grado di accreditarlo presso i ceti più moderati. Questo ha messo in difficoltà gli amici di Alfano. Ma perché stupirsi? Renzi vuole essere il Tony Blair italiano ed è logico che intenda acquisire i consensi del centro o del centrodestra allo stesso modo in cui il suo modello inglese ereditò i voti della Thatcher. Nella logica renziana lo spazio politico ed elettorale di Alfano è destinato a esaurirsi e solo le esigenze di coalizione inducono il premier a un certo rispetto verso l’alleato.
Ora però l’Ncd ha trovato la sua piccola rivincita, dal momento che sul lavoro Palazzo Chigi ha dovuto pagare qualche prezzo all’ala sinistra del Pd e al sindacato. Come detto, niente di realmente clamoroso. Non ci sono rischi di crisi, eppure il voto di fiducia testimonia se non altro il venire meno di una mediazione all’interno della maggioranza. Oggi il problema è il lavoro, domani potrà essere un altro tema all’ordine del giorno. In fondo è comprensibile. Quello fra Renzi e i centristi è davvero un matrimonio di interesse e nulla più. Ognuno dei due contraenti persegue una strategia diversa, anzi opposta. Il Blair di Firenze sta costruendo un potere a "vocazione maggioritaria", come direbbe Veltroni: un Pd in grado di conquistarsi abbastanza voti per governare da solo (grazie al nuovo premio di maggioranza previsto dall’Italicum in un sistema monocamerale).
Viceversa gli alfaniani sono al governo alleati con il centrosinistra, ma si preparano a rientrare un giorno nel centrodestra post-Berlusconi: un salto mortale non privo di rischi che presuppone, per cominciare, un discreto risultato nelle europee di maggio. In ogni caso non sarà facile per l’Ncd abbandonare, magari l’anno prossimo, l’alleanza con il Pd e giocarsi una futura campagna elettorale nelle liste della coalizione avversaria. Un ritorno nell’alveo più congeniale che richiede però molta cura per non apparire mero trasformismo. Sotto questo aspetto il dissenso sul lavoro, benché ricomposto nel voto di fiducia, può essere interpretato come il primo passo verso un progressivo, lento distacco dal "renzismo" che tende a fagocitare tutti gli spazi. Vedremo chi ha più filo da tessere.
Oggi questa nota si conclude con un pensiero rivolto a Marco Pannella. Il grande combattente è impegnato in una battaglia per la salute-e la vita. Non è la prima volta e la tempra dell’uomo è straordinaria. Ma è uno di quei momenti in cui la povertà della politica quotidiana lascia il passo a una riflessione più alta, a un omaggio non retorico a chi ha saputo sempre mettere in gioco se stesso per servire i suoi ideali.
© 2014 Il Sole 24 Ore. Tutti i diritti riservati
SU