Firme false, inchiesta sulla lista Maroni

Dalla Rassegna stampa

La Lega e le presunte firme false irrompono nel sabato di silenzio elettorale in Lombardia. Nell’Ohio d’Italia, per via di quel tesoretto di 49 senatori (a chi vince, col premio di maggioranza ne vanno ben 27) su 315 che qui verranno eletti, ipotecando pesantemente il risultato generale, gli ultimi fuochi si combattono sull’altro fronte aperto, quello delle regionali. Ecco l’ultim’ora: la Procura di Monza ha indagato per falso il consigliere provinciale monzese Giuliano Beretta, Lega Nord. L’accusa? Aver autenticato falsamente 900 firme a sostegno della lista «Maroni Presidente», una delle sette liste che per il centrodestra - indicano il gran capo del Carroccio per la guida del Pirellone. L’inchiesta è stata aperta su denuncia dei radicali, ai quali risultava sospetta la raccolta di 1200 firme nel giro di appena quattro o cinque giorni. Il pm Franca Macchia ha già sentito come testimoni alcuni elettori e interrogato Beretta che dal canto suo parla di «atto dovuto» e assicura che «tutte le firme sono autentiche». Infine il magistrato ha trasmesso gli atti, con l’esito degli accertamenti, all’ufficio elettorale centrale della Corte d’Appello di Milano. I leghisti chiedono che non si speculi. E si difendono. «Firme vere, verissime», secondo Matteo Salvini, segretario della Lega Lombarda, che parla di «insulti, calunnie e fango contro la Lega» e di «colpi di coda per evitare una vittoria del centrodestra in Lombardia, ormai sempre più vicina». Ma la zuffa, nel dì del silenzio, è dietro l’angolo. Gabriele Albertini, il candidato montiano di «Lombardia Civica» per la Regione che si era ritrovato in una situazione analoga, con 120-125 firme contestate dalla Procura di Cremona, e che per questo era stato sbeffeggiato da Maroni («preso con le mani nella marmellata», disse di lui due giorni fa il segretario leghista) si sfoga su Twitter: «Ieri blaterava di moralità, vergogna!». E pure Silvia Enrico, che ha sostituito Oscar Giannino alla guida di Fare per Fermare il Declino (che in Regione candida Carlo Maria Pinardi), si chiede, di fronte a «reati veri e propri»: «E adesso, chi si dimette?». L’ultima rissa fuori tempo massimo dà l’idea di come la partita sia delicata. Se Maroni si gioca il futuro politico suo e della sua Lega versione 2.0, le variabili sono molte anche per Umberto Ambrosoli, il figlio dell’Eroe borghese che, come lo sfidante leghista, venerdì ha chiuso la sua campagna a Bergamo al grido padano di «Ghé Sèm!», ci siamo. Su di lui scommette il centrosinistra, e in molti sperano nel rinforzo dell’arma a doppio taglio del voto disgiunto. Ad esempio Pietro Ichino, ex Pd ora capolista al Senato con Monti, voterà un’esponente di «Lombardia Civica» per il consiglio lombardo, ma per presidente ha confermato la scelta di Ambrosoli anziché di Albertini. E si vedrà quanto i 35 mila visti a Piazza Duomo con Grillo dirotteranno voti su Silvana Carcano, del Movimento 5 Stelle, quando sia Adriano Celentano sia Dario Fo, pur affascinati dal M5S, hanno deciso di sostenere Ambrosoli. Gli occhi però saranno puntati sui senatori che in Lombardia saranno eletti, sui 49 seggi in palio e soprattutto sul lauto premio di maggioranza che dirà molto del futuro assetto politico. Infine i big: Silvio Berlusconi voterà dopo mezzogiorno nel seggio di via Scrosati, vicino alla casa dove viveva la sua mamma. Anche il premier Mario Monti voterà a Milano, di prima mattina, sotto la neve.

 

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