Fine vita, prime firme al registro per il «testamento biologico»

Per il «testamento biologico» ancora serve una legge nazionale. Ma da ieri, anche a Milano, esiste un albo dove registrare l’esistenza delle proprie volontà sui trattamenti sanitari in caso di perdita di coscienza «permanente e irreversibile». Prime iscrizioni allo sportello di largo Treves, dalle 9 del mattino, con l’assessore Majorino che ricorda le 12 mila firme che hanno portato alla delibera: «Un servizio fortemente voluto dai cittadini».
Sede dell’assessorato alle Politiche sociali, largo Treves civico 1, pianoterra. Una coppia di 6oenni bussa al nuovo sportello del Comune. «È qui che si fa il testamento biologico?». Il funzionario, cortese, risponde a tutti. «Bisogna prendere appuntamento». Come hanno fatto, settimana scorsa, le prime dieci persone (su 120 finora prenotate) che ieri si sono succedute nel piccolo ufficio comunale per l’iscrizione al «Registro delle dichiarazioni anticipate di volontà sui trattamenti sanitari e di fine vita». Non per depositare quel «testamento biologico» per cui si necessita di una legge nazionale ancora lontana, dunque, ma per il riconoscimento dell’esistenza di una volontà personale scritta, del suo luogo di conservazione e delle persone incaricate a farla rispettare. Tutto riportato in un elenco. Da ieri, infatti, il cittadino può esprimere le proprie volontà su tre punti: trattamenti sanitari in caso di «perdita di coscienza permanente o irreversibile»; donazione di organi; cremazione e dispersione delle ceneri.
«Un servizio fortemente voluto dai cittadini» spiega l’assessore Pierfrancesco Majorino, ricordando il lavoro dei comitati «Io Scelgo» e «Milano Radicalmente Nuova» che hanno raccolto le 12 mila firme sfociate, a luglio, nell’approvazione di una delibera d’iniziativa popolare. Anche chi si è prenotato e si presenta con la documentazione, tuttavia, arriva soprattutto per informarsi. Scegliendo di segnare sul semplice modulo della «dichiarazione sostitutiva» (oltre a quello da far firmare ai fiduciari) la formula generica «no all’accanimento terapeutico», pronto comunque a cambiarla in seguito, in qualsiasi momento.
Tra i primi a iscriversi, la ricercatrice-biologa Monica Fabbri («Sono stata la seconda, peccato» si dispiace). Da febbraio 2012 è impegnata per l’istituzione del Registro. «Volevamo che le dichiarazioni fossero conservate dal Comune, ma non è stato possibile». E così i documenti andranno tenuti a casa, dal medico curante, presso associazioni e fondazioni (come Luca Coscioni, Umberto Veronesi o altre) eccetera. Questo perché la segreteria generale ha frenato, adducendo possibili violazioni della legge sulla privacy. Si sarebbe potuto andare dal Garante ma i comitati hanno scelto di procedere lo stesso, perché si tratta di un primo passo fondamentale per il «riconoscimento formale delle volontà dei cittadini» che si dovessero ritrovare domani incapaci d’intendere e di volere. Spiega il radicale Marco Cappato: «Grazie a questo servizio, anche in assenza di una legge nazionale che le renderebbe vincolanti, le volontà delle persone hanno maggiori chance di essere rispettate».
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