Il finanziere della mafia: "Pronto a trattare la resa"

Vito Roberto Palazzolo rilancia: il latitante mafioso arrestato il mese scorso all’aeroporto di Bangkok detta le condizioni per sbloccare la difficile pratica che riguarda la sua estradizione. Lo stesso finanziere di Terrasini (Palermo) potrebbe dire di sì al ritorno in Italia, dove lo attendono il carcere e una condanna a nove anni, a condizione però che «la Repubblica italiana riapra il processo penale celebrato in contumacia». È il suo avvocato, Baldassare Lauria, a sottolineare il cambio di strategia difensiva, dopo che l’uomo d’affari con la doppia cittadinanza, italiana e sudafricana, non è stato rilasciato ma anzi è stato portato nella prigione principale della capitale thailandese. Un posto tutt’altro che piacevole, visto che Lauria parla di «violazione degli standard sui diritti umani» e arriva aa invocare l’intervento dell’ambasciatore italiano a Bangkok, finora visto come una sorta di controparte. Perché Palazzolo, che in Sudafrica si faceva chiamare «Von Palace Kolbatschenko», e che è stato arrestato dopo avere lasciato il suo Paese di adozione, non riconosce la legittimità della sentenza della magistratura italiana, che gli ha inflitto 9 anni di carcere per concorso in associazione mafiosa: decisione pronunciata a Palermo dal tribunale, confermata in Appello e Cassazione. Ora la convenzione europea sull’estradizione, sostiene l’avvocato Lauria, potrebbe riaprire i giochi: il consenso dell’interessato potrebbe accelerare i tempi della consegna all’Italia, ma Palazzolo chiede in cambio un nuovo processo. Cosa che vanificherebbe gli effetti di quello che si è celebrato in Italia in sua assenza. Da Palermo arriva un no: «E’ un’idea bizzarra - sostiene Gaetano Paci, magistrato che ha rappresentato l’accusa in aula - dato che Palazzolo ha avuto possibilità di difendersi. Ha avuto diversi avvocati italiani, il tribunale celebrò alcune udienze del primo grado in Sudafrica e lì agirono anche i suoi legali sudafricani. La decisione di non comparire in Italia è stata sua. Nessuno glielo ha impedito. Per noi ora è un condannato definitivo che deve scontare la pena». Palazzolo ha avanzato istanza di revisione del dibattimento: prima udienza in giugno, a Caltanissetta. I suoi avvocati proporranno alla Corte d’appello i motivi e le «nuove prove» che dimostrerebbero che la condanna sarebbe stata ingiusta. Batteranno anche sul «ne bis in idem», il principio in base al quale nessuno può essere giudicato due volte per lo stesso fatto: Palazzolo è stato giudicato in Svizzera, poi in Italia è stato assolto una volta da un’accusa di riciclaggio, proprio in base a questo principio. La Cassazione ha però ritenuto che fossero fatti diversi da quelli del nuovo processo celebrato a Palermo. L’avvocato Lauria non si dà per vinto. La partita, dopo l’arresto ottenuto da Interpol, Sco e carabinieri della territoriale e del Ros, si è complicata perché Palazzolo non è stato subito espulso dalla Thailandia. Ma nemmeno è stato liberato, come sperava la difesa. Sono entrati in gioco gli ambasciatori, italiano e sudafricano, e nel frattempo da Roma è partita la richiesta di estradizione. «Chiediamo un intervento diretto a tutela dell’incolumità del nostro cliente - dice l’avvocato Lauria - e, pur nel rispetto della procedura di estradizione, la garanzia sui diritti inalienabili dell’uomo. Presenteremo un’ulteriore denuncia al Comitato europeo per la prevenzione della tortura». Da «Von Palace» le autorità internazionali hanno ricevuto numerose denunce: «Sulla figura di Vito Roberto Palazzolo - insiste il legale - è stata costruita una leggenda. Per la violazione del "ne bis in idem" pende un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Da questa stessa accusa era stato assolto nel maxiprocesso alla mafia».
© 2012 da 'La Stampa'. Tutti i diritti riservati
SU