Finanziamenti, ABC puntano alla fase 2 ma intanto s’ingorga anche la fase 1

A dispetto di ogni polemica e dei tanti scetticismi che circolano (e non solo fuori dai propri partiti), gli sherpa della maggioranza ribadiscono che il – faticoso – accordo di mercoledì non è che la prima indispensabile puntata di un processo che arriverà entro la fine di maggio, al massimo ai primi di giugno, alla revisione dei criteri del finanziamento pubblico ai partiti.
Questo si erano detti nel lungo pomeriggio di due giorni fa a Montecitorio in cui, però, sul tema delle risorse si è arrivati a stabilire solamente il blocco dei 100 milioni di euro (più 60 se si contano anche le europee 2009) in arrivo entro luglio.
Uno stop connesso all’entrata in vigore dei nuovi controlli: la commissione ad hoc guidata dal presidente della Corte dei conti avrà il compito di valutare già i bilanci 2011 e in caso di irregolarità proporre sanzioni che spetterà ai presidenti di camera e senato applicare. Dati i tempi, anche per togliere argomenti a chi, come Di Pietro, parla di «accordicchio » (e tanto più che il Quirinale mantiene sulla questione un occhio vigile) arrivare realmente e in fretta alla fase 2 è ineludibile.
Per quanto tutt’altro che semplice e non solo per gli ovvi riflessi di autotutela del sistema. Sul tavolo, la revisione dei meccanismi di erogazione dei rimborsi, la loro eventuale riduzione (in una fase in cui, per effetto delle varie manovre, i contributi pubblici si sono comunque dimezzati negli ultimi due anni), la corrispondenza fra spese effettivamente sostenute (tenendo conto dell’attività politica ordinaria e delle strutture dei partiti) e risorse percepite, e l’eventuale affiancamento di forme di contribuzione dei cittadini (sul modello del 5 per mille sostenuto dal Pdl, per una volta d’accordo con l’Italia dei valori). Nel mezzo, tutto il dibattito sull’abolizione del finanziamento pubblico e del suo superamento sul modello americano.
Un lavoro non da poco e da chiudere al massimo in un mese e mezzo, visto che la discussione della legge sull’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione (status e democrazia interna dei partiti) in cui la riforma verrà incastonata. Ma se la fase 2 si annuncia decisamente impegnativa, parte in salita anche la fase 1. Ieri, infatti, Fini ha dichiarato inammissibile l’emendamento che recepiva l’accordo ABC nel decreto fiscale poiché l’argomento non è attinente al provvedimento. Tutto da rifare.
Il piano b della maggioranza è la presentazione di un disegno di legge in commissione affari costituzionali riunita in sede legislativa (primi firmatari Alfano, Bersani e Casini). Ma anche qui son dolori. Perché per il via libera alla “legislativa” (il provvedimento si chiude in commissione senza passare dall’aula) serve il sì di tutti i capigruppo oppure l’assenso dei quattro quinti dei membri, ovvero 38 su 47. Basta dunque che in 9 non siano d’accordo e si blocca tutto: Lega e Idv contano 7 membri.
Il radicale Maurizio Turco dirà di no. Un solo altro dissenso, e la valutazione se tenere la procedura legislativa passerà all’aula. Dove si vota per alzata di mano ma se il governo o un decimo dei membri della camera (cioè 63) non è d’accordo non si può procedere. A 63 si arriva facilmente contando Idv, Lega e Radicali. Nella valutazione dell’accordo Di Pietro non ha lasciato dubbi, ma il capogruppo Idv a Montecitorio Donadi ha tenuto uno spiraglio aperto: «È una riformicchia ma non bisogna dare l’occasione di dire: non abbiamo cambiato nulla per colpa di Idv».
Tonino alla fine ha confermato: «L’Idv è disponibile a qualsiasi intervento normativo per modificare l’attuale legge sul finanziamento dei partiti con una norma da adottarsi direttamente in commissione in sede legislativa» o in altro modo.
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