In Europa non è tempo di illusioni

I numeri dicono Merkel e forse grande coalizione. Ma le urne confermano soprattutto una certa idea che i tedeschi hanno maturato del loro Paese, del modello economico e sociale rappresentato dai due maggiori partiti e strenuamente difeso dalla Cancelliera, del posto che ritengono di meritare in Europa, senza avvertire il bisogno di una profonda riflessione sull’Europa di domani. I tedeschi hanno anche scacciato il fantasma dell’Afd, il partito antieuropeo, rimasto fuori dal Bundestag e da considerare, almeno per ora, un’espressione fisiologica e minoritaria di paure che serpeggiano in tutte le opinioni pubbliche continentali. Il paradosso di queste elezioni è che gli europei hanno osservato con attese e apprensione la Germania, mentre i tedeschi si sono confrontati sulle migliori soluzioni delle faccende domestiche, per quanto proprio queste condizionino la salute dell’eurozona.
È la vittoria di una Germania consapevole della propria forza, ma al tempo stesso low profile nella voglia di continuità e stabilità, perfettamente espressa dalla personalità di Angela Merkel. Il risultato non consente ai Paesi europei in difficoltà di coltivare molte illusioni di grandi svolte ideali e generosi strappi al dogma del rigore finanziario. Anche perché trattasi di una forza tranquilla, normale, sempre meno condizionata da responsabilità storiche, che la Cdu straripante e la Spd in modestissima ripresa intendono impiegare, di concerto o separati, per affrontare problematiche nascoste, ma reali, dietro le cifre ufficiali del «miracolo» tedesco : in primo, luogo, l’impoverimento di un terzo di cittadini - anziani, donne sole, immigrati, giovani dequalificati - feriti dalle riforme degli ultimi anni. È un nuovo proletariato che non vota più, che si separa dalla grande «middle class» appagata e che potrebbe prima o poi ridare fiato alle formazioni populiste e antieuropee.
Lo storico dilemma «Germania europea o Europa tedesca» appare da oggi un po’ usurato, nel senso che i timori di un’Europa egemonizzata dai tedeschi equivalgono le aspettative per una Germania più europea di quanto - a modo suo - già non lo sia. Dipende invece dagli europei, soprattutto da francesi e da italiani, dimostrare di volere finalmente mettere mano a profonde riforme strutturali e quindi convincere (o costringere) la Germania e la sua cancelliera a un più avanzato percorso di integrazione comunitaria, finanziaria e politica, e di misure per la crescita. Altrimenti, la direzione della Germania «low profile» - tendenzialmente neutrale, attore economico globale, politicamente stabile, disimpegnata nella politica estera continentale - rischia di diventare sempre più quella di una Grande Svizzera, ben espressa dal continuo divenire edilizio e culturale della sua capitale. Berlino, con le sue architetture moderne ed essenziali, vivace e mai ostentata, è il nuovo baricentro di un Paese che si integra sempre più con le economie dell’Est europeo e che guarda ai grandi mercati d’Oriente. È l’anima di una nuova generazione tedesca che ha fatto i conti con la Storia, che ha saldato quelli della riunificazione e che raccoglie i frutti dei sacrifici compiuti.
Naturalmente, la classe dirigente e i circoli economici sono ben consapevoli che la Germania sarebbe la prima beneficiaria di un’Europa più forte e della crescita europea e quindi di una politica finanziariamente meno restrittiva. Questo è stato del resto il messaggio europeista della Spd. Ed è lecito aspettarsi che Angela Merkel, libera da condizionamenti elettorali, possa prendere decisioni e impegni istituzionali più a lungo termine, rilanci il rapporto indispensabile con Parigi, proponga una visione meno gestionale del Vecchio Continente. Ma il comune sentire dei tedeschi peserà anche dopo le elezioni, al di là delle formule di governo e delle scelte dei partiti. E abbastanza improbabile che SuperAngela voglia rendersi coraggiosamente impopolare, che scelga cioè di spendere la forza tranquilla del suo Paese per entrare nella galleria dei cancellieri che hanno fatto la Storia della Germania postbellica: la pace in Europa, la riunificazione, la moneta unica, le grandi riforme. I tedeschi sembrano dirci: «Abbiamo già dato».
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