Etica e utopia

La vicenda delle due sorelline siamesi nate (e morte) a Bologna è stata seguita con interesse e compassione. Ma la loro triste sorte lascia qualche perplessità. Secondo quanto ne riporta la stampa, l'équipe medica dell'ospedale dove erano le due piccole aveva concepito l"'idea meravigliosa" di "salvarle entrambe": un esito che purtroppo non si è verificato, per circostanze che non sono competente a valutare. Sembra però che l'équipe avesse preso in considerazione anche l'ipotesi di salvare una delle due piccole sacrificando l'altra. Se ricordo bene, l'ipotesi era stata subito respinta da non so quale autorità etica, con la motivazione che sarebbe stato non morale condannare una delle due vite. Ugualmente esplicito il senatore prof. Ignazio Marino: "I medici salvano vite, non le sopprimono". Anche il prof. Carlo Flamigni, membro del Comitato nazionale di bioetica, si era dichiarato contrario a tale soluzione. "Il tentativo messo in atto a Bologna - ha detto - è molto vicino all'utopia, ma in situazioni estreme come questa è giusto porsi degli obiettivi". Non so quali fossero le aspettative reali di salvezza delle due bimbe: ma ricordo di aver letto di situazioni analoghe nelle quali i medici avevano preferito tentare la separazione, per far vivere almeno una delle infelici. Fornivano motivazioni etiche stringenti e, credo, valide: essi ritenevano, deontologicamente doveroso assumersi la responsabilità di una decisione, certamente difficile e dolorosa ma che almeno poteva offrire buone probabilità di sopravvivenza a una delle due vite, altrimenti ambedue condannate. La penso esattamente come loro. Ho la presunzione di credere che in casi come questi, sempre che le condizioni lo consentano, tale decisione sia la più corretta e valida sotto ogni punto di vista, anche - se non soprattutto - quello deontologico. Ma io sono un laico, un po' pragmatista e, ovviamente, relativista, per il quale il bene possibile vale più del meglio "utopico".
La novità che viene dall'Istat
Leggo che in Gran Bretagna l'eutanasia è ormai, di fatto se non di diritto, una pratica possibile, non penalmente rischiosa. Mentre il Parlamento italiano ha legiferato ribadendo la condanna dell'eutanasia, considerata un reato, nella prassi giudiziaria le cose vanno molto diversamente. Vengono segnalati casi in cui il giudice, con il pragmatismo tipico della cultura giuridica anglosassone, ha deciso di non perseguire chi, per motivi umanitari evidenti, abbia aiutato una persona a compiere l'ultimo passo. Un giudice ha sentenziato che punire un comportamento come questo non gioverebbe a nessuno, tanto meno alla società. La cosa può apparire sconcertante se considerata con il nostro occhio di continentali, abituati alla rigidità del Codice giustinianeo e alle sue secolari filiazioni. Ma, leggo anche, negli stessi giorni in Italia è stato approvato alla Camera, con assenso bipartisan, un disegno di legge che abolisce la discriminazione fra i figli di una coppia regolarmente sposata e quelli nati in una coppia di fatto. Da oggi, il bambino nato fuori del matrimonio avrà gli stessi diritti di quello della coppia sacralizzata o legalizzata. Anche a lui verrà riconosciuta la possibilità di avere una famiglia con i suoi nonni e parenti, e potrà ereditare. Potrà addirittura, se sarà stata la madre la prima a riconoscerlo, mantenere il cognome di lei, anche quando il padre lo avrà riconosciuto. Se si pensa che la modifica così apportata al Codice civile interesserà ogni anno oltre 134.000 bambini vale a dire il 24 per cento del totale dei nati in Italia - si comprende bene quale sia la sua portata sociale. E' evidente che la nuova legge è stata dettata dalla pressione esercitata dalla massa degli interessati, nessun partito - neanche il più dichiaratamente cattolico - poteva eluderla: così, quelli stessi che in Parlamento si sono sempre opposti a ogni legge che regolarizzasse situazioni di fatto non sacralizzabili - per dire, le coppie gay - hanno pragmaticamente accettato che una famiglia può esistere anche senza la benedizione del prete o il timbro del Comune. Per capire come l'evoluzione sociale e culturale sia costrittiva e ineluttabile anche, e soprattutto, su questi valori "etici" (o, meglio, "diritti civili") basti ricordare che, fino a qualche decennio fa, in Italia, il figlio di una coppia adulterina non poteva essere denunciato come figlio del padre naturale ancora sposato, perché sarebbe stato automaticamente registrato come figlio della moglie legittima di quell'uomo, ed era obbligato ad assumere il cognome della madre. E il padre?: "N.N."
Ma, proprio in questo ambito, la novità più clamorosa ci viene da una fonte insospettata, I'Istat, l'Istituto nazionale di statistica, che ha inserito, nei moduli del prossimo censimento, una casella con la dicitura: "Convivente in coppia con l'intestatario". Di fatto, è il riconoscimento delle coppie omosex. Il sottosegretario Carlo Giovanardi ha osservato che l'iniziativa dell'Istat dimostrerà che le coppie omosex sono, in definitiva, poche. Ma perché essere pedanti? Valesse solo per una coppia, il riconoscimento è un fatto rivoluzionario.
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