Eterologa, il maggiorenne ha diritto di sapere

Dalla Rassegna stampa

Per andare subito al sodo e non perderci in tanti giri di parole: esiste, per un essere umano che sia pienamente consapevole e maggiorenne, il diritto di conoscere chi sono i suoi genitori biologici, oppure no? Io rispondo: sì, questo diritto esiste. Possono esserci, e scaturire, situazioni che si rivelano spiacevoli, dolorose, traumatiche. Ma se questa persona, consapevole dei possibili traumi, sofferenze, delusioni cui può andare incontro e gli possono venire da questa sua volontà, resta comunque determinato nel suo voler sapere, ecco che ha il diritto di essere rispettato. E deve essere messo nella condizione di poter vedere riconosciuto e tutelato questo suo diritto che niente e nessuno gli può negare. Così, per venire alla questione che lodevolmente Europa affronta e dibatte (magari lo facessero altri, e soprattutto la televisione e la radio che dovrebbero fornire "servizio pubblico", e quindi affrontare e non eludere questi temi): la libertà di scelta resta la prima, irrinunciabile regola, e questo sopra ogni norma, legge o codice possano essere concepiti e realizzati. La libertà di scegliere se conoscere o meno le proprie origini biologiche e genetiche appartiene a ciascuno di noi, nel momento stesso in cui nasciamo; e questo vale anche per i nati da fecondazione eterologa, un diritto che la legge deve garantire e tutelare anche in Italia, come del resto è garantito e tutelato in altri paesi e in altri ordinamenti giuridici che hanno affrontato la questione, preveggenti, molto prima di noi.

Negare questo diritto si traduce in una odiosa e inaccettabile discriminazione. Sono fermamente convinta che se questo diritto venisse negato, pregiudicato, se come qualcuno auspica e vuole; se dovesse essere, verrà negato o limitato il diritto di conoscere la propria identità genetica, frapponendo ostacoli o limitazioni che possono impedire di acquisire informazioni circa le modalità del proprio concepimento, o l’identità del donatore, accadrebbe una cosa molto "semplice": il nato da fecondazione eterologa subirebbe una discriminazione crudele e inaccettabile; e di questa discriminazione e ingiustizia, ne saremmo tutti responsabili. Il Consiglio nazionale di bioetica italiano consiglia di svelare ai bimbi se sono stati concepiti con l’eterologa, ma di mantenere anonima l’identità del donatore, perché, sostiene, altrimenti si avrebbe «un’alterazione dell’equilibrio esistenziale della famiglia di origine». Tema delicato, non c’è dubbio, e in particolare se si tratta di un minorenne. Ma nel caso di un maggiorenne, di una persona cioè che si ritiene matura e che pone la fatidica domanda, credo che questa persona abbia diritto di sapere.

L’«alterazione» evocata sarebbe senz’altro più grave e superiore se per legge questo diritto gli venisse precluso; pensate cosa può essere convivere con un qualcosa di irrisolto di questa portata... Negli Stati Uniti, dove l’eterologa si è diffusa fin dagli anni ‘80, una quantità di persone esige di sapere la propria vicenda genetica, chi sono i loro antenati, la loro storia medica, e centri specializzati come il Donor Sibling Registry animato dalla dottoressa Wendy Kramer aiutano le persone nate dall’eterologa a trovare i loro donatori. L’Olanda ha deciso di permettere solo le donazioni non anonime: raggiunti i 16 anni, i figli possono accedere alle informazioni relative ai donatori. C’è chi avanza il timore che il donatore, una volta conosciuto, possa usurpare il ruolo di chi ha svolto la funzione di padre. È facile rispondere che l’eterologa dovrebbe farci capire che trasmettere il proprio Dna non basta a renderci genitori, e che per essere tali ci vuole, come fondamentale presupposto, una relazione affettiva ed educativa. Sarebbe facile comprenderlo se ci fosse dibattito, confronto, conoscenza. Ma, ripeto, oltre Europa e pochissimi altri, chi ci aiuta a riflettere, ragionare, capire?

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