Ernesto Rossi, l'europeista ante litteram

Dalla Rassegna stampa

Chi era Ernesto Rossi? Nell'intervista rilasciata da Eugenio Scalfari per l'edizione domenicale del Secolo l'ex direttore e fondatore del quotidiano la Repubblica si è soffermato a parlare di Ernesto Rossi individuandolo come il suo maestro, come un riferimento ineludibile per la sua formazione politica, culturale e di giornalista. Ernesto Rossi era un economista. Era poi un laico, un liberale, un libertario. Era un radicale come lo furono Mario Pannunzio, Nicolò Carandini, Guido Calogero e tantissimi altri che con lui, nel dicembre del 1955, fondarono il Partito Radicale dei democratici e dei liberali. Questo era infatti il nome completo di quello che, oggi, è divenuto il più antico partito politico italiano. Ernesto Rossi è stato l'europeista ante litteram che insieme ad Altiero Spinelli e a Eugenio Colorni scrisse "Il Manifesto di Ventotene" e che, già nel 1941, immaginò e delineò la prospettiva degli Stati Uniti d'Europa. Si considerava un allievo di Luigi Einaudi con cui mantenne sempre un forte legame di amicizia e di stima reciproca. Un rapporto che proseguì assiduamente anche durante il settennato di Einaudi al Quirinale, periodo in cui Ernesto Rossi frequentò spesso il Colle perché chiamato e invitato dal presidente in persona, in varie occasioni, in particolare durante le cene che l'allora capo dello Stato organizzava con intellettuali e con uomini di cultura.
Credo sia indispensabile approfondire il lascito morale e politico di quest'uomo che, come ha lasciato intendere Scalfari, rappresenta una delle menti italiane ed europee più avanti del secolo scorso. Rossi è stato tra coloro che meglio di altri hanno impersonato una visione non strumentale di un'economia basata sul libero mercato, cioè di un'economia capitalista fatta di quei correttivi sociali che il liberismo porta con sé. Sicuramente fu una persona che lottò tutta la vita per la libertà e che, perciò, sfugge tuttora a qualsiasi etichetta preconfezionata. Forse, anche per questo motivo, malgrado sia passata molta acqua sotto i ponti, parecchie delle sue idee hanno resistito al passaggio del tempo e rappresentano ancora un'ottima e solida base su cui costruire "il nuovo possibile". Quando infatti nel 1984 Marco Pannella intervenne al congresso del Msi, spiegò ad Almirante, Romualdi e agli altri che loro sarebbero passati dal "fascismo regime" al "fascismo movimento" solo se avessero avuto il coraggio di inserire nel loro Pantheon, insieme a Giovanni Gentile, anche Ernesto Rossi.
La tesi centrale del suo libro Abolire la miseria (1946), soltanto per fare un esempio, resta solidamente attuale. Secondo Rossi, la miseria non è infatti il risultato necessario di un'economia capitalistica. Proprio per questa ragione, affermava Rossi, occorre tenere i capitalisti lontani dalla tentazione di credere che la povertà di alcuni strati della popolazione sia la condizione dello sviluppo economico generale, oltre che delle loro private fortune. Bisogna invece, ribadiva con forza, predisporre un programma per abolire la miseria. A tal proposito, identificava nel sistema formativo la cellula riproduttiva delle disuguaglianze fondamentali della società, anticipando i movimenti studenteschi che scuoteranno il mondo negli anni '60 e che esploderanno soltanto nel 1968, dopo la sua morte. Ma Rossi era e rimase sempre schierato con i liberali e mai con i marxisti. Luigi Einaudi considerava del resto Ernesto Rossi come il suo migliore discepolo. Non ancora diciannovenne, quello che poi sarà l'autore di Settimo: non rubare (1953), I padroni del vapore (1955), partecipò volontario alla Grande Guerra.
Dopo, si avvicinò all'ambiente del Popolo d'Italia diretto da Benito Mussolini, giornale con il quale collaborò dal 1919 al 1922. E in quel periodo, conobbe Gaetano Salvemini: «Se non avessi incontrato sulla mia strada - scrisse Ernesto Rossi - al momento giusto, Salvemini, che mi ripulì il cervello da tutti i sottoprodotti della passione suscitata dalla bestialità dei socialisti e dalla menzogna della propaganda governativa, sarei facilmente sdrucciolato anch'io nei Fasci da combattimento...». Nel 1925 diede vita al giornale clandestino Non Mollare. Aderì a Giustizia e Libertà. Dopo il carcere, il confino e la guerra riprese la sua attività politica. Nel 1949 cominciò a collaborare con Il Mondo di Pannunzio. Morì a Roma il 9 febbraio 1967, avrebbe compiuto 70 anni il successivo agosto. Marco Pannella, ricorda così i suoi ultimi giorni di vita: «Ernesto era stato operato nei giorni precedenti. L'operazione era andata benissimo, tuttavia le conseguenze non furono controllate e all'improvviso Ernesto se ne andò. Di li a trentasei ore avrebbe dovuto presiedere, al Teatro Adriano di Roma, una prima grande manifestazione». Non ne ebbe il tempo. Ma il '68 cominciò forse quel giorno all'Adriano. La sala era stracolma. Anche per lui. Grazie a lui.

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