Elezioni a ottobre, è braccio di ferro

L’obiettivo di Pier Luigi Bersani resta sempre uno: chiudere ogni spazio a possibili governi con il Pdl di Silvio Berlusconi. Pur restando intatto il timore per come si comporteranno i mercati, la riunione di domani della direzione del Pd dovrebbe dare a Bersani una decisiva mano per presentarsi al colloquio con il Capo dello Stato. Nella relazione che farà al partito non ci sarà un’esplicita richiesta di elezioni anticipate, qualora fallisca il tentativo di metter su un governo, «solo perché la fine del settennato di Giorgio Napolitano rende indisponibile l’eventualità», si spiega a largo del Nazareno. La tensione con il Colle resta alta, ma nel Pd bersaniano la sfida ai grillini, ai quali si continua ad offrire la possibilità di «partecipare al cambiamento del Paese», si accompagna sempre più ad una dose di realismo. I numeri in Parlamento, divenuti alla Camera imponenti grazie alla legge elettorale, costringono il segretario a immaginare un governo che comunque porti il Paese al voto sia pur dopo aver esperito il tentativo di coinvolgere il M5S attraverso un incarico di governo. Il braccio di ferro sulla data del ritorno al voto - giugno o ottobre - non è questione da poco. Sulla prima data puntano coloro che non accettano mediazioni, come Fassina, Orfini e Vendola, e che vorrebbero fosse lo stesso premier Monti a riportare gli italiani alle urne per evitare che si metta su un governo nuovo che poi sarebbe difficile da buttar giù.
VOTO A OTTOBRE
L’autunno è invece l’obiettivo minimale - viste le condizioni e le macerie della campagna elettorale ancora da rimuovere - di coloro (renziani, veltroniani e area Franceschini) che puntano ad avviare un governo tecnico, la cui durata potrebbe allungarsi di due o tre anni, che sia in grado di fare le riforme istituzionali, economiche e della politica che non si sono fatte nell’ultimo anno di legislatura. Una settimana dal risultato elettorale non sembra però un tempo ancora sufficiente per rimettere insieme, sotto l’ombrello della stessa maggioranza, Pd e Pdl. O meglio, Bersani e Berlusconi. Proprio la presenza in Parlamento del Cavaliere, che va per la sesta legislatura, sembra essere l’impedimento più rilevante. Al punto che i più stretti collaboratori dell’ex premier, sondato il pericolo, hanno cominciato a mettere le mani avanti sostenendo che Berlusconi «non ha nessuna intenzione di fare passi indietro». D’altra parte, in una situazione di tale incertezza e con una miriade di processi in corso, risulta difficile che Berlusconi decida di prendere l’elicottero come Benedetto XVI per permettere la nascita di un governo Pd-Pdl-Scelta Civica.
MERCATI
Non resta quindi che affidarsi al senso di responsabilità dei partiti i quali potrebbero ricevere un’involontaria spinta a trovare un’intesa dai mercati che già dalla prossima settimana potrebbero interrompere la tregua. D’altra parte a giudicare «una catastrofe» il voto anticipato, non è solo Emma Bonino, ma lo stesso Cavaliere che in queste ore valuta ogni opzione pur di sedersi al tavolo della trattativa. Compresa l’eventualità di appoggiare Bersani nella corsa al Quirinale cha va maturando nei contatti telefonici che riguardano anche esponenti del Pd e di Scelta Civica. Difficile però che la sirena della poltrona presidenziale possa scalfire la linea di Bersani che resta quella della sfida a Grillo. «Non si comprende la pericolosità di questo movimento. Se non lo fermiamo ora non lo fermiamo più», sostiene Bersani nei ragionamenti che fa con i suoi collaboratori. Per stanare Grillo e mostrare ai cittadini che si tratta di un movimento che gioca tutto il suo successo sulle macerie, Bersani resta convinto che al Pd spetti l’onere di mettere su un governo con un programma snello e «da combattimento» e che toccherà ai grillini decidere se affossarlo.
AUTARCHIA
Il dibattito che si è aperto dentro al M5S sembra dar ragione alla strategia del segretario che però deve fare i conti con il duo Grillo-Casaleggio che in più di un’occasione ha dimostrato poca tolleranza per il dissenso interno. Il Pd a trazione Bersani intende però portare la sfida sino all’ultimo. Passando magari anche per il voto che la prossima settimana ci sarà per eleggere i presidenti delle camere, nel quale non si esclude di poter dare ai grillini una delle due ambite poltrone alle quali, come il regolamento prevede, ne seguiranno altre. Un modo, secondo qualcuno, «per far toccare» ai neo parlamentari del M5S «il peso delle istituzioni» e secondo altri per rendere più amaro, se non difficile, il distacco dalla poltrona quando ci sarà «il tutti a casa». Ieri a Montecitorio si respirava un’aria surreale e autarchica con la buvette trasformata in una sorta di magazzino-Gum per via degli scaffali vuoti e prive delle tradizionali scatole di cioccolatini e di biscotti.
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