I due spettacoli

Spero non mi si accusi di empietà o di cinismo se accosto e metto a confronto due eventi che in questi giorni, a distanza di poche ore l'uno dall'altro, hanno occupato schermi e monitor di mezzo mondo: il matrimonio di William e Kate, la beatificazione di Giovanni Paolo II. Eventi molto diversi tra di loro, ma con qualcosa in comune che mi ha sollecitato una volatile riflessione. Di sicuro hanno monopolizzato, persino brutalmente, l'attenzione di grandi folle. Per il "royal wedding" si calcola siano rimaste inchiodate dinanzi ai monitor due miliardi di persone sparse per tutti i continenti. A Roma, la notte prima della cerimonia, frotte di giovani, stretti attorno alle bandiere dei rispettivi paesi, hanno attraversato la città per conquistarsi tempestivamente qualche metro quadro in piazza San Pietro. Tutti avevano a tracolla il tappetino di gomma dei campeggiatori su cui dormicchiare, sotto il colonnato berniniano, all'addiaccio e incuranti della fluttuante pioggerellina che di tempo in tempo spruzzava i sampietrini. Pare che nella vasta piazza, alla fine, fosse accalcato un milione e mezzo di fedeli.
Cosa avevano, cosa hanno in comune, i due eventi? Niente, ovviamente, quanto a significati, moltissimo per quanto riguarda il rituale. I grandi poteri hanno sempre ciascuno una propria coreografia identitaria, minuziosamente elaborata per comunicare, attraverso lo spettacolo, un messaggio mirato. Umberto Eco è stato - mi pare - uno specialista nello smontare i rituali storici mostrandone i trucchi verbali e magari gli errori semantici, però restando sulle sue quando si trattasse di dissacrare quelli contemporanei operanti sotto l'egida di un potere attuale e grintoso. Gli spettatori dei due eventi di questi giorni, presenti di persona o incollati dinanzi ai monitor, erano mossi da sentimenti diversissimi ma forse da un identico meravigliato stupore per la magnificenza che si snodava dinanzi ai loro occhi: un piacere fatto di curiosità, di febbricola da presenzialismo, oltreché di passioni sincere. È il grande insopprimibile gioco della ritualità, con il suo inganno teatrale. Questo fa sì che i rituali siano disprezzati e derisi da certe culture superciliose e snob.
Per quanto riguarda la chiesa cattolica, si deve parlare ovviamente del laicismo. Il laicista dileggia il rituale del credente, è pronto a smontarne i meccanismi significanti. La critica al cattolicesimo ridonda di questo irridente distacco. È stata, credo, la Riforma a dargli una precisa forma intellettuale ed etica. La Riforma ha esaltato la "parola", considerata il tramite comunicativo più adatto, anzi unico, per il rapporto tra Dio e il credente. Di conseguenza ha soppresso i ritualismi (tranne, un po', nella chiesa anglicana) e l'immaginario visivo, facendo scelte sostanzialmente iconoclaste. Ha dato così una "ratio" rigorosa alla critica della chiesa cattolica che invece sulla icona, l'immagine visiva, e magari sull'incenso e i paramenti, ha fondato un rapporto plurisemico con il credente.
Libertà di espressione
Roba da dibattiti senza fine. Che, appunto, ci sono stati e continueranno a esserci. Ma per quel che riguarda il laico la situazione è davvero delicata. Il laico non ha alcun motivo per essere contrario alla ritualistica istituzionale. Crede nella libertà di espressione, in tutte le forme. E tuttavia sa bene che non potrà mai aderire alla sostanza di questo o quel ritualismo spettacolare. A Roma, a Palazzo Spada, c'è un famoso "trompe l'oeil" borrominiano: appare un lunghissimo corridoio colonnato, in realtà profondo pochi metri: mai dar retta alle apparenze. Anche se non laicista né filoprotestante, il nostro laico deve dunque diffidare, e diffida. Tra l'altro, è anche preoccupato perché avverte come, con la diffusione dei media di massa, lo spettacolo, un qualunque spettacolo, tende a invadere, con la "sua" verità virtuale, le verità fattuali, creando una sorta di ibridazione tra la "irrealtà" dell'immagine e il mondo dove gli eventi accadono o così sembra. Il laico cerca di stare in guardia, di defilarsi, di non mescolarsi a una folla in cieca ammirazione. Un po' erasmiano, in quell'agitarsi vede sempre un pizzico di follia. Se ha una età almeno rispettabile ricorda, pur fugacemente, il tremendo secol breve, quando l'etica di stato metteva in mostra i suoi paramenti estetici, con le coreografie totalitarie nelle quali il popolo si appiattiva in massa indistinta. La diffidenza del laico nasce dalla consapevolezza che, alla fin fine, gli apparati ritualistici sono espressione di un potere del quale egli non può non essere antagonista, in obiezione di coscienza. Le rivoluzioni democratiche si sono accanite sui rituali e le coreografie del passato che esse intendevano abbattere.
Il matrimonio di Palazzo Buckingam ha provato a sciorinare gli attributi di una storica e nobile potenza, quella dell'Inghilterra e dei Windsor. Ma un particolare della cerimonia ha fatto sfumare la pretesa: i due sposi si sono allontanati dal palazzo a bordo di una automobile sportiva, dietro alla quale, come per una qualunque coppia borghese, c'erano appesi palloncini e la scritta: "Just married".
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