"Doppio errore modo e momento"

Dalla Rassegna stampa

Sandro Bondi, dice Daniela Santanchè, «non è nulla». Niente di polemico ma «oggi non è nulla». «E’ solo inopportuno». Si è voluta mettere in un angolo del cortile di Montecitorio per accendersi una sigaretta e soffiare fuori fumo e depressione. Non si respira altro, da queste parti. Uno come Antonio Martino, vecchia guardia, vecchio liberale, uomo che vive di levità e disincanto, spende termini inconsueti: «Bondi è un maramaldo». Stefania Prestigiacomo cantilena amarezza: «Diciamo che non ha scelto il momento migliore». Il senatore Altero Matteoli, di passaggio alla Camera, dice che certe discussioni andrebbero affrontate dentro al partito e non sui giornali: «La lettera, Sandro non doveva mandarla a voi, ma a Forza Italia». Tirano tutti in ballo il modo e il momento. Proprio lui e proprio oggi, giorno in cui Silvio Berlusconi è a Milano - a mettere la firma sotto l’accettazione della pena. E’ questo che intende Daniela Santanché, luttuosa oltre ogni aspettativa, e parrebbe oltre ogni ragionevolezza: «E’ un giorno terribile per la democrazia, un giorno in cui si stabilisce che un cittadino non ha diritto di parola. E io dovrei occuparmi di Bondi?». E d’improvviso scattano tutti. Scatta lei: «Bondi dice cose ovvie, sono venti anni che le sento dire. Forza Italia è morta? Evviva, è morto un partito per la centesima volta, un partito con un leader che da mesi non va in tv eppure sta oltre il venti per cento. Sarà un miracolo, chissà».

Scatta Martino, soprattutto: «Bondi infierisce su un uomo che è alla fine del suo ciclo politico, sempre che alla fine poi ci sia davvero. Adesso che lo vede in difficoltà si permette anche le critiche. Io sono amico di Berlusconi. Lui non mi parlai nemmeno più, non mi risponde al telefono, credo non abbia neanche voglia di sentirmi... Ma a Berlusconi ho sempre detto tutto in faccia. E quando lo contestavo, parlando di Forza Italia come di un partito con atteggiamenti antidemocratici, antiliberali e incivili, non c’era nessun Bondi a darmi ragione. Ma il partito di cui parla Sandro, è lo stesso partito del quale lui è stato dirigente sommo negli ultimi quindici anni? Davvero lui è estraneo a ogni responsabilità?». Si cerca con sforzo da rabdomanti un po’ di buonumore. L’amarezza, a sera, è dello stesso Bondi critico col titolo della Stampa ("Fi ha fallito, sosteniamo Matteo"): «Sono molto dispiaciuto che la mia analisi oggi sia stata male interpretata, a cominciare dal titolo che non corrispondeva alle mie parole, e strumentalizzata. Voleva in realtà essere una seria riflessione per contribuire al rafforzamento di Forza Italia e a una nuova prospettiva per il centrodestra».

La verità è che nessuno ce l’aveva col titolo. Ce l’avevano tutti con il pezzo: «Noi qui di pugnalate ne abbiamo ricevute già abbastanza da chi se n’è andato», dice Alessandra Mussolini. La Prestigiacomo, oltretutto, su qualche punto dà anche ragione all’ex coordinatore: «Abbiamo fallito nelle riforme, e questo purtroppo è vero, almeno in parte. Ma il partito è vitale. Lo vede moribondo soltanto chi rimane chiuso nelle stanze romane». Un altro liberale, Giancarlo Galan, condivide Bondi dall’inizio alla fine: «Dice che il centrodestra è in frantumi, ed è difficile dargli torto. Dice che Forza Italia non è mai diventato un grande partito moderato, che non ha fatto la rivoluzione liberale e neanche le riforme: analisi perfetta! Come si fa a smentire? Lo stesso Bondi dice che è successo per colpa degli alleati. Giustissimo-. Però dico che abbiamo anche due meriti: nel ‘94 abbiamo sconfitto il Pds di Achille Occhetto, che era una minoranza organizzata, e introdotto il bipolarismo che oggi è saldo. E se ora dall’altra c’è Renzi - uno che ha preso parecchio da noi, e la cui vittoria non sarebbe una tragedia - è perché in questi venti anni c’erano Forza Italia e un fuoriclasse come Silvio Berlusconi». Quelli del Nuovo centrodestra passano con altro spirito. Quasi saltellano di compiacimento. La Prestigiacomo scuote la testa: «Mah... A me, veramente, pareva che Sandro scrivesse anche della loro fallimentare scissione». Se si sposta il mirino, si spara anche meglio. «Sono traditori del loro leader e della loro storia, propugnatori di una politica miserabile dai toni volgari», conclude Galan: ed è la conclusione del ragionamento, e non solo.

 

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