Doppia sfida per il viaggio di Monti

Monti ha insistito perché gli accordi per la riforma del mercato del lavoro si concludessero prima della sua partenza per l’Oriente. Credo che la conclusione sia stata meno rassicurante di quanto sperasse. Ma il premier non ha esitato a sottolineare il collegamento fra il suo viaggio e i risultati dell’azione che il governo conduce da quando è in carica: un «road show», alla ricerca di consensi degli investitori globali per come l’Italia sta riordinando i suoi conti e mettendo a punto le riforme strutturali.
Ciò fa riflettere sull’espressione «ce lo chiedono i mercati», spesso usata, dai commentatori e dallo stesso governo, per motivare i provvedimenti che vengono proposti. Qualcuno, critico nei confronti delle proposte, usa l’espressione polemicamente, la affianca al «ce lo chiede l’Europa» nel presentare i provvedimenti come imposti dal di fuori, anche contro i nostri interessi. Chi sono questi «mercati» che chiedono, interferiscono, giudicano, premiano e puniscono?
Non sono un insieme omogeneo. Non si tratta, soprattutto, di un compatto gruppo di speculatori spregiudicati che vogliono accumulare guadagni di breve periodo a costo di sospingerci su strade dove staremo peggio. Non manca chi specula sulle nostre vicende e prospettive a corto termine. Ma sono più importanti coloro che, ad esempio, guardano ai nostri titoli pubblici come a un investimento, da prendere o lasciare, nella loro ricerca di rendimenti limitati ma sicuri, nel lungo termine, come i grandi fondi pensione nordeuropei e asiatici. I loro interessi collimano con quelli degli italiani nel loro insieme. Cercar di convincerli ad avere fiducia nell’Italia è un buon esercizio per lucidare gli argomenti che dobbiamo usare per convincere noi stessi che stiamo facendo il nostro bene in modo durevole. In altri termini: ci sono parti dei «mercati» globali che aiutano a guardarci nello specchio e a far l’esame di coscienza.
Questo è ancor più vero per gli investimenti diretti, cioè per chi non si limita ad acquisti finanziari ma rischia avventure imprenditoriali nel nostro Paese, il cui risultato dipende dalla qualità della nostra burocrazia e dei servizi pubblici, del mercato del lavoro, della vigilanza bancaria, del sistema giudiziario, del contrasto alla criminalità organizzata. Scottato dalla crisi globale, chi fa investimenti diretti internazionali è oggi più attento di prima alla qualità di fondo delle istituzioni e del funzionamento dei Paesi dove rischia, alla loro capacità di assicurare profitti sostenibili e vantaggi condivisi con i cittadini degli stessi Paesi. La regione dove andrà Monti questa settimana ha, più del mondo angloamericano, la reputazione di saper guardar lontano nelle decisioni economiche e di saper valutare l’impatto degli investimenti sull’interesse collettivo, non solo sugli utili dei singoli investitori. Convincere cinesi, coreani e giapponesi della bontà delle nostre prospettive, oltre ad aiutare a chiarire a noi stessi le ragioni delle nostre riforme, oltre ad attrarre da noi i loro capitali, facilita l’accoglienza dei nostri investimenti e prodotti nei loro sistemi economici, dove la crescita e la modernizzazione continueranno a costituire, nei prossimi decenni, opportunità indispensabili per le nostre imprese.
Il viaggio di Monti si svolge in un periodo delicato per l’estremo oriente. La maturazione di quelle economie è giunta a un punto tale da richiedere un cambio di marcia al loro sviluppo, che andrà articolandosi in modo diverso e procederà un poco più piano. A loro, come a noi, servirebbero più di prima relazioni internazionali cooperative, coerenti con la continuazione ben governata della globalizzazione. In effetti l’approfondimento della cooperazione «sovrannazionale» è stato il primo rimedio entrato nelle agende del mondo quando è scoppiata la crisi globale. Ma, dopo quasi cinque anni, nonostante la crisi sia tutt’altro che finita, sembra si sia perso lo spirito della prima reazione dei leader mondiali. Il G20 è diventato più sterile. Invece di trovare modi migliori per stare insieme, i Paesi e le regioni del mondo paiono dividersi, accrescendo le controversie. C’è una pericolosa tensione protezionistica: anziché aggredire insieme la crisi, ciascuno cerca di difendersi in modo divisivo.
Fra i tre blocchi che ruotano attorno a Usa, Ue e Cina crescono, insieme a temibili attriti geo-strategici e militari, tensioni commerciali e finanziarie. Siamo al punto che gli aerei europei rischiano di vedersi limitare i permessi di sorvolo in Asia, come ritorsione contro le tasse ecologiche che l’Ue vuole far pagare agli aerei di chi non è stata ancora capace di convincere ad adottare le stesse regole a protezione dell’ambiente. È una china che non va scesa ulteriormente: occorre al più presto tornare ad ambiziosi progetti di cooperazione globale da perseguire con atteggiamenti diplomatici coerenti, lungimiranti, innovativi. Credo non sia scorretto leggere nel viaggio di Monti, che include anche la conferenza sulla sicurezza di Seul, con i massimi leader mondiali, qualcosa che va oltre gli affari italiani. Cioè un piccolo contributo nella direzione del rilancio urgentissimo della concertazione mondiale, da parte di un personaggio rappresentativo dell’Europa più convinta dei suoi valori e, insieme, più aperta e attenta alla costruzione di regole globali, capo del governo di un Paese che da un mondo più unito e cooperativo ha solo da guadagnare.
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