Dite che la battaglia di Pannella è di tutti noi

Dalla Rassegna stampa

Conosco le obiezioni, le prevengo, così si risparmia del tempo: Marco Pannella è un grandissimo rompicoglioni, e anche se non lo penso, dico con quanti ne sono convinti che Marco ha prodotto più danni che benefici, dove passa lui cresce cicoria e gramigna, ha vagonate di difetti, è logorroico, insopportabile, è confuso e confusionario. Va bene così? Il repertorio è al completo? A me basta quel che ebbe a scrivere nel 1979 Indro Montanelli: «...È un figlio discolo e protervo, un giamburrasca devastatore che dopo aver appiccato il fuoco ai mobili e spicinato il vasellame, è scappato di casa per correre le sue avventure in prateria. In caso di pericolo o di carestia, lo vedremo tornare portandosi al seguito mandrie di cavalli e di bufali selvaggi, quali noi non ci sogneremo mai di catturare e domare».
Sono ormai quarant’anni che conosco Marco, su di lui ho scritto decine di articoli e un libro (e per scriverlo l’ho fatto a sua insaputa, ché forse mi avrebbe dissuaso); l’ho visto “accorrere” non so quante volte, è stato ed è generoso e comprensivo, paziente e disponibile sempre, ogni volta che ho bussato e sapevo che altro aveva da fare. Il Pannella che io conosco e che ogni volta è capace di meravigliarmi, non è quello che raccontano spesso i giornali, quello che sento dire e leggo. È l’uomo che per Leonardo Sciascia era «il solo politico italiano che costantemente dimostra di avere il senso del diritto, della legge e della giustizia». È l’uomo che, ha scritto Eugenio Montale, che di elogi era assai parco, ispirato che sorge «dove il potere nega, in forme palesi, ma anche con mezzi occulti, la vera libertà», e lo accosta – pensate! – ad Andrej Sacharov, «soli e inermi, essi parlano anche per noi».
Marco da giorni non mangia, non beve. I medici diffondono bollettini angosciati e angoscianti; e ti assale una sorta di rabbia cupa, sorda...: “Marco, c’at vègna un cancher, smetti!”, avresti voglia di ululargli. “Con quale diritto fai quello che fai, e ci imponi questo tormento, questa sofferenza?”, e davvero vorresti ficcargli a forza un imbuto in bocca e poi giù, litri d’acqua, che ne anneghi...Ma no, ha ragione lui, purtroppo.
Ha ragione a ricordarci, a quel prezzo, in quel modo, pregiudicando la sua salute e la vita stessa, la situazione che si è determinata, l’illegalità diffusa, profonda in cui affonda il paese; e a tentare di scuoterci dalla nostra inerzia, dall’indifferenza, dalla rassegnazione. Se vuoi, puoi. Se puoi, devi...Marco ci ricorda un il testo di un appello del 1976 aperto da Pietro Nenni, e sottoscritto tra gli altri da Giuseppe Saragat, Ferruccio Parri, Alberto Moravia, Elena Croce, Arrigo Benedetti, Guido Calogero, Aldo Visalberghi, Loris Fortuna, Giacomo Mancini, Riccardo Lombardi, Franco Fortini, Lucio Colletti, Antonio Baslini, Alessandro Galante Garrone, Ignazio Silone, moltissimi altri, politici, scrittori, registi, pittori, giornalisti…Erano tanti, e tanti sono morti. È arbitrario, certo, dire cosa avrebbe fatto oggi chi che non c’è più, ma non ho dubbi: oggi si sarebbero mobilitati, avrebbero levato la loro voce, come allora.
Non tanto o solo per Pannella, quanto e soprattutto, per la causa che Marco agita e – letteralmente – incarna. Ci sono i vivi, quelli che possono, che devono, che sanno: Giuliano Amato, Giorgio Galli, Francesco Alberoni, Franco Ferrarotti, Carlo Ripa di Meana, Giorgio Albertazzi, Bernardo Bertolucci, Dario Fo, Franca Rame, Adele Cambria, Maurizio Costanzo, Francesco Rosi, Umberto Eco, Stefano Rodotà...Lo chiedo, sommessamente a Maurizio Belpietro e a Mario Calabresi, a Virman Cusenza e a Ferruccio de Bortoli, a Vittorio Feltri e a Giuliano Ferrara, a Umberto La Rocca, Ezio Mauro, Antonio Padellaro, Alessandro Sallusti, Luca Telese, a tutti noi: è così difficile per una volta accorrere noi per dire non tanto e non solo, a Marco, di bere una goccia d’acqua; quanto, piuttosto, che quella battaglia per la legge, il diritto, la legalità è la nostra battaglia?

 

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