I diritti del corpo

1. "Posso capire che, di fronte a crimini come gli abusi su minori commessi da sacerdoti, se le vittime sono persone vicine, uno dica: questa non è la mia chiesa" (Benedetto XVI, 22 settembre 2011). Nella precedente puntata di questa rubrica (il Foglio del 20 settembre) mi sono chiesto come mai la chiesa cattolica, la comunità che più ha patito al proprio interno la diffusione della pedofilia, sia la stessa che manifesta la più aspra avversione - unitamente alla religione musulmana - nei confronti dell'omosessualità. Perché la più indulgente tolleranza nei confronti della pedofilia (almeno fino a Benedetto XVI) ha potuto convivere con la più intransigente ostilità verso la omofilia? Con titubanza e voluta approssimazione azzardavo anche una qualche ipotesi interpretativa, così sintetizzabile: l'omofilia tra adulti consenzienti appare a una chiesa, riprodottasi come solido instrumentum regni, un fattore di disordine sociale ben più insidioso di una prepotenza sessuale esercitata all'interno di un seminario o di una parrocchia o di una associazione giovanile. Questa mia ipotesi risulta corroborata - sia pure con argomenti diversi, e di altro spessore, sulla base di una ricostruzione storicodottrinaria - da quanto scrive il mio vaticanista di riferimento, Giuseppe Di Leo, curatore dell'imperdibile Rassegna stampa vaticana (Radio radicale, domenica ore 7.00). Di Leo spiega con semplicità quella che ho chiamato la intransigente ostilità nei confronti dell'omofilia col fatto che "si è tanto più rigidi quanto meno c'entra la fede". E così argomenta: "Scandalizzare un piccolo, per la fede di Gesù, significa quanto di più turpe si possa immaginare nell'esperienza umana. Nel rapporto omosessuale, più che la fede di Gesù, c'entra la dottrina della fede di Paolo di Tarso. Mi spiego. Paolo nella Lettera ai Romani, quando condanna i rapporti omosessuali, sembra rifarsi più all'insegnamento del Levitico che a Gesù.
Quest'ultimo infatti non menziona mai il peccato di sodomia omosessuale.
Neanche i suoi discepoli accennano mai all'omosessualità. Paolo reagisce invece alla cultura dei costumi ellenistici, servendosi anche di alcuni aspetti del pensiero stoico che vennero a legarsi alla nuova morale cristiana, ai quali era sconosciuta la dicotomia tra eterosessualità e omosessualità. Inoltre Paolo (come Agostino d'Ippona) è influenzato dall'idea rabbinica della necessità della riproduzione, che solo nella dimensione eterosessuale può essere preservata. Il potere romano, a cominciare da Teodosio, sentì l'esigenza di fronteggiare una certa crisi demografica (peraltro ben vista da Tertulliano), cominciando ad avallare la condanna paolina nei confronti dell'omosessualità sterile".
La potenza vertiginosa dei diritti umani
2. Il discorso di. Benedetto XVI davanti al Parlamento tedesco è stato indubbiamente di grande importanza. E, tuttavia, l'attenzione dei commentatori ha voluto privilegiare, tra i temi trattati, due che, pur assai significativi, non hanno costituito - a mio avviso - il cuore pulsante del ragionamento del Pontefice. Si è molto insistito, cioè, sul richiamo del Papa ai compiti autentici della politica e alla sua alta funzione e, ancora, sulla distinzione tra legge e diritto (con riferimento al nazismo e ai totalitarismi). Ma poco si è ragionato su quel nesso tra persona umana e diritto, sul quale si è soffermato a lungo Benedetto XVI, e su come i concetti di eguaglianza e dignità siano consustanziali alla natura umana. E, dunque, come su questa relazione così indissolubile tra persona umana, eguaglianza/dignità e diritto si fondi il presupposto dell'inalienabilità dei diritti fondamentali. Va da sé che una tale ontologia dei diritti umani, nella concezione cattolica, discenda a sua volta dalla "convinzione circa l'esistenza di un Dio creatore". Ma, anche per il non credente, ciò rappresenta un fattore di valorizzazione, che dà a quel concetto di inviolabilità (dei diritti umani), una potenza dirompente. E vertiginosa.
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