La difficile strada di un vero liberale

Dalla Rassegna stampa

Per un posto di giudice alla Corte Costituzionale, secondo noi "Amici de L'Opinione", un giurista migliore di Giuseppe Di Federico (garantista, imparziale e acuto come pochi) la politica italiana non avrebbe potuto neanche sognarselo. E proprio per questo entro un paio di giorni sarà invece scelto Sergio Mattarella, che l'unica cosa giuridica che ha fatto in vita propria è una legge elettorale che per anni ha condizionato in negativo l'intera politica italiana.

E che viene scelto proprio per andare a fare il relatore in udienza sul referendum che deve abolire il "porcellum" resuscitando la legge che porta il suo nome. Circostanza in passato sempre rifiutata dalla Consulta, che magari potrebbe cambiare giurisprudenza ad hoc per risolvere i mali interni del Pd. Solo i Radicali italiani in Parlamento hanno avuto il coraggio di votarlo in nove, a camere riunite, sia ieri che nei giorni scorsi. E lo faranno fino alla fine della seduta fiume che ha già regalato al Csm, a maggioranza semplice, un altro leghista dopo Matteo Brigandì, cioè il professor Ettore Albertoni. E anche in quel caso sarebbe stato cento volte meglio un garantista come Mario Patrono, anche lui, guarda caso, sostenuto dalla pattuglia di pannelliani tra Camera e Senato. E pienamente appoggiato dal nostro giornale. Il problema vero, però, è che nei luoghi dove ci si occupa di leggi e di giustizia i garantisti non ce li vuole più nessuno. Non il Pd, non gran parte del Pdl, non di certo i leghisti e Di Pietro. Il tutto in una risorgente atmosfera da 1994 con piazze sobillate dall'anti politica all'urlo di "in galera, in galera". Eppure il curriculum vitae di Di Federico parla da sé. È professore emerito di Ordinamento giudiziario dell'Università di Bologna. Ha fondato e diretto il Centro Studi e Ricerche sull'Ordinamento giudiziario dell'Università di Bologna e l'Istituto di Ricerca sui Sistemi Giudiziari del CNR. E' stato Presidente dell'European Research Network ori Judicial Systems nonché componente del Consiglio Superiore della Magistratura. Nella propria dichiarazione di voto, ancora una volta contraria a quella del Pd, i Radicali parlano, per descrivere le manovre sotterranee che prima o poi porteranno Mattarella alla Consulta (il secondo ministro di un governo Prodi dopo Flick, ndr) di "pratiche, che rendono perfino i conclavi vaticani delle elezioni liberali". A questo quindi decenni e decenni di "democrazia reale" ci hanno portato, per citare Marco Pannella, ormai in sciopero della fame perenne "per l'amnistia per la Repubblica" e per le condizioni dei carcerati in Italia. Una volta alla Corte Costituzionale ci andavano i Leonetto Amadei, i Paolo Rossi, i Vezio Crisafulli. Oggi vediamo sfilare i Flick, i Mattarella e presto o tardi ci infileranno pure qualche giurista leghista difensore dei diritti di quelli delle quote latte. Di Federico, d'altronde, non poteva di certo sperare nel nulla osta della casta che tutto decide e tutto nomina in un perenne voto di scambio tra maggioranza e opposizione. Se lo ricordano bene quando al Csm seminò più scompiglio persino di Mauro Mellini, o forse ex aequo, non lasciandone passare una ai procuratori d'assalto che da venti anni e passa assediano le istituzioni repubblicane con la connivenza degli ex e post comunisti. Un giurista come Di Federico alla Corte Costituzionale sarebbe stato una spina nel fianco o come dicono gli statunitensi meno elegantemente "a pain in the ass".

Per questo, oltre ai radicali, non lo voterà nessuno e per questo noi de "L'Opinione" lo sosteniamo con orgoglioso spirito di minoranza liberale in Italia.

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