Diciamo addio alla partitocrazia

Dopo trent’anni di solitarie lotte radicali, la bomba "finanziamento pubblico dei partiti" è esplosa con una reazione a catena che sembra travolgere tutto. La fiducia in questi partiti, già ai minimi termini, è passata in un mese dall’otto al 2 per cento. Perché stupirsi? Nel 1978 si schierarono tutti contro il referendum radicale che voleva abolire il finanziamento pubblico, salvo poi ritrovarsi protagonisti di Tangentopoli.
Dopo la vittoria referendaria del 1993 si inventarono la truffa dei rimborsi elettorali e quando 10 milioni di cittadini nel 2000 votarono per abolirla risposero quintuplicandosi gli introiti e facendolo di notte, come ladri comuni. Ora ci riprovano: cambiamo le regole e per il resto "chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato". Ma scherziamo? La bancarotta democratica e finanziaria in cui questi partiti hanno portato il Paese ne imporrebbe la chiusura.
C’è un bottino da 1.700 milioni che non torna, ovvero la differenza tra i 2,3 miliardi di euro incassati dal 1994 e i 580 milioni di spese elettorali documentate. Serve un’opera di verità, perché gli italiani sappiano chi ne ha approfittato e dove sono finite quelle rendite di regime: patrimoni immobiliari, operazioni finanziarie, fondazioni, apparati.
I Lusi, i Belsito, non sono mele marce bensì il prodotto di un sistema criminogeno che falsa da lungo tempo il gioco democratico. Come con il fascismo e il nazismo, occorre una soluzione di continuità che permetta di fare i conti con la partitocrazia. Il deputato radicale Maurizio Turco ha proposto di istituire una Commissione di inchiesta che chiarisca il destino di quel bottino di 1.700 milioni di euro, vediamo chi lo seguirà anche tra quelli che oggi fanno a gara a proclamare rinunce e pentimenti. Celare le differenze sarebbe un altro grave errore. Ricordo bene, ad esempio, come venivano derisi Marco Pannella ed Emma Bonino quando si presentavano in televisione con al collo un cartello che riportava il numero di telefono per versare contributi.
Era il febbraio del 1993, avevo meno di vent’anni e da studente universitario chiesi ai miei genitori di anticiparmi il regalo di compleanno per comprare la tessera del Partito Radicale. Trentamila iscritti l’obiettivo per non chiudere: Roberto Cicciomessere si inventò i pagamenti telefonici con carta di credito e furono superati di slancio i quarantamila. Non ho letto Machiavelli, non ho letto "Etica e politica" di Benedetto Croce.. Conosco però un partito che ha scelto di non sfamarsi alla mangiatoia partitocratica, che ha una sola sede di proprietà di cui deve ancora finire di pagare il mutuo, che non ha un dirigente coinvolto in affittopoli o tangentopoli. Che ha un leader come Pannella capace di dismettere il suo patrimonio di famiglia per investirlo in iniziativa politica.
Non credo che i Radicali siano geneticamente migliori degli altri, che siano immuni da debolezze. Ho imparato però che la moralità, la nobiltà della politica, è un obiettivo che si conquista con metodo. Chi ancora oggi pretende il finanziamento pubblico, evidentemente ha paura che la sua proposta politica sia così scandente che gli italiani non gli darebbero una lira, pardon, un euro.
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