Il "decentramento" in salsa Europea

Dalla Rassegna stampa

A proposito di riforme istituzionali: il corrispettivo del federalismo americano non può essere il federalismo all'italiana, ma deve necessariamente essere la prospettiva degli Stati Uniti d'Europa. Infatti, come in America ci sono la California, il Texas, l'Ohio e tutti gli altri Stati dell'Unione, così in Europa abbiamo l'Italia, la Spagna, la Francia, la Germania e via dicendo. In tale prospettiva, la stessa già indicata da Luigi Einaudi, le nostre province non hanno granché senso perché appartengono ad una concezione ancora tutta interna al "mito dello Stato sovrano" o, al più, ad un'idea introvertita di federalismo. Dal 1970, cioè con ben 25 anni di ritardo rispetto a quanto previsto dalla nostra Carta costituzionale, sono state istituite le Regioni che rappresentano, per l'Italia, il corrispettivo di quello che in America sono le Contee. Le Regioni, quindi, sono le Contee. Le province italiane, di conseguenza, da quaranta anni, hanno perduto di senso rispetto alla loro funzione federale. Insomma, ci sono almeno due tipi di federalismo: quello basato sul mito dello Stato sovrano e quello liberale.

Il primo, evidentemente illiberale e anti-federalista, lo possiamo definire come "federalismo padano", infatti appassiona molto anche il Pd; il secondo è il federalismo europeo di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Quello leghista o autarchico o "padano" è una sorta di federalismo localistico, cioè niente altro che un centralismo partitocratico riprodotto su scala locale. È il cosiddetto "federalismo all'italiana", che connota trasversalmente il campo burocratico della partitocrazia e che si oppone, da sempre, al progetto politico rappresentato dal federalismo europeo di Luigi Einaudi. Infatti, fu la visione liberale dell'Europa, elaborata e descritta da Einaudi sulle pagine del Corriere della Sera, diretto all'epoca da Luigi Albertini, che influenzò e ispirò Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Altiero Spinelli nella stesura del Manifesto di Ventotene. Il presupposto da cui partiva lo statista liberale era il superamento della sovranità assoluta e la conseguente necessità di promuovere un ordine statuale sovranazionale che puntasse sull'interdipendenza tra i vari Stati e, quindi, sul mantenimento della pace. Ed eccoci di nuovo ad oggi: si è discusso molto, in questi giorni, sull'abolizione o meno delle province. Fuori e dentro la Camera dei deputati, le polemiche e i distinguo non sono mancati. In televisione e sulla stampa nazionale, i servizi e i commenti si sono soffermati soprattutto sulla cronaca parlamentare cercando, in realtà poco, di offrire anche degli spunti di riflessione, di approfondimento, di analisi. A dominare la scena, però, è sempre il solito teatrino demagogico e partitocratico dei vari Di Pietro, Bersani, Bossi e compagnia cantando. Mentre, sul versante delle proposte non banali, i lettori de l'Opinione hanno potuto trovare, sulle pagine del quotidiano, spunti politici assai interessanti su cui è bene soffermarsi ancora. Insistere sul federalismo all'italiana difendendo le burocrazie partitocratiche è un modo per vanificare definitivamente il progetto liberale per gli Stati Uniti d'Europa, già ampiamente mortificato da un'unità economica e monetaria privata della necessaria unità politica. Fermare l'idea riformatrice dentro i confini ristretti del territorio nazionale, vuol dire non aver compreso o non sapere che l'orizzonte politico del federalismo, che riguarda innanzitutto l'organizzazione istituzionale della società, è un orizzonte liberale. In tal senso, il federalismo diventa una conseguenza di un modo liberale di vedere le cose. Senza questa visione liberale, le province diventano l'avamposto del centralismo statalista e partitocratico distruggendo il progetto degli Stati Uniti d'Europa.

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